Sale e malattie cardiovascolari, le precisazioni del Ministero della Salute
A seguito della pubblicazione su The Lancet di un nuovo controverso studio canadese sull’associazione tra apporto alimentare di sodio e l’incidenza di eventi e morti cardiovascolari, il Ministero della Salute ha ritenuto opportuno fare alcune precisazioni a tutela della salute pubblica
ROMA – La questione sale (o sodio) nella dieta è da sempre oggetto di dispute circa il corretto apporto quotidiano attraverso la dieta. C’è infatti chi ritiene si debba drasticamente tagliare il quantitativo di sodio assunto e chi, più cauto, asserisce che basta seguire le linee guida. Ora, arriva un nuovo studio a opera dei ricercatori della canadese McMaster University che ritiene la dose giornaliera raccomandata troppo bassa. Per questo motivo, e per evitare che qualcuno si faccia condizionare, il Ministero della Salute ha ritenuto opportuno fare alcune precisazioni a tutela della salute pubblica.
Quantità dannose
Il curioso dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, che riporta l’associazione tra apporto alimentare di sodio in alcuni campioni di popolazione e l’incidenza di eventi e morti cardiovascolari, è che i ricercatori ritengono che i livelli di consumo di sale raccomandati dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero troppo bassi e addirittura dannosi per molte persone. Per contro, sarebbero invece corretti i consumi giudicati eccessivi dall’OMS e dalle Linee Guida per una sana alimentazione di molti Paesi, Italia compresa. Per questo motivo, il Ministero della Salute ha ritenuto opportuno fare alcune precisazioni a tutela della salute pubblica.
Molte evidenze
Secondo gli esperti del Ministero della Salute, gli autori dell’articolo con tutta probabilità non hanno tenuto conto o ignorano che «le linee guida sono state elaborate sulla base di consolidate e vaste evidenze di letteratura scientifica». A seguito dell’articolo, The Lancet è stata sommersa sa molte critiche e commenti negativi, tra cui anche da parte dell’American Heart Association. La principale accusa sarebbe quella di aver pubblicato «un lavoro frutto di una ricerca di scarsa qualità e dalle conclusioni infondate e potenzialmente pericolose per la salute pubblica, potendo causare confusione e incertezze tra i cittadini», si legge nella nota del Ministero.
La posizione delle autorità sanitarie
Tra i commenti all’articolo, il Ministero «segnala la presa di posizione della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) e del Gruppo di Lavoro Intersocietario per la Riduzione del Consumo di Sale in Italia (GIRCSI) che hanno espresso e motivato un giudizio negativo sulla qualità dello studio. Nel condividere la valutazione espressa dalla SINU e dal GIRCSI, si ribadisce che un consumo eccessivo di sale è fra le cause dell’insorgenza di gravi patologie dell’apparato cardiovascolare, quali l’infarto del miocardio e l’ictus, correlate all’ipertensione arteriosa ed è anche un fattore predisponente per la Malattia Renale Cronica».
Ridurre il sale perché gli italiani ne consumano troppo
La riduzione dell’apporto di sodio nell’alimentazione è una priorità condivisa sia dall’OMS che dall’Unione Europea, e fa parte delle strategie di prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili. «Nel nostro Paese – si legge ancora nella nota del Ministero – i dati più recenti indicano un consumo di sale quotidiano pari a 11 grammi per i maschi e 9 grammi per le donne, oltre il doppio dei livelli raccomandati dall’OMS. Anche il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, documento centrale della pianificazione per la prevenzione del nostro Paese, ha previsto nell’ambito del macro obiettivo Ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità delle malattie croniche non trasmissibili lo sviluppo di interventi volti a ridurre nella popolazione il consumo di sale con l’alimentazione. Tutte le Regioni, pertanto, sono impegnate per il conseguimento di tale importante obiettivo di salute pubblica attraverso interventi nei setting previsti (scuola, luoghi di lavoro, comunità e strutture sanitarie)».
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