L’Alzheimer si può curare con le luci a led
Ricercatori scoprono che utilizzare luci a led blu può prevenire in modo efficace l’accumulo della proteina beta-amiloide, ritenuta una causa della malattia di Alzheimer
COREA – Gli scienziati del Korea Advanced Institute of Science and Technology (KAIST) e del Korea Research Institute of Bioscience and Biotechnology hanno scoperto che per mezzo di luci a LED blu si può trattare in modo efficace la malattia di Alzheimer di cui, oggi, non esiste cura. Lo stesso approccio potrebbe essere utilizzato anche per altre malattie neurodegenerative.
Una proteina chiave
La placca beta-amiloide, formata dalla stessa proteina, è ritenuta una responsabile dello sviluppo e della progressione dell’Alzheimer. Agire dunque su questa è una possibilità di prevenire e trattare la malattia stessa, quando già comparsa. Poiché la placca tende ad accumularsi nel cervello, causando tra l’altro il degrado delle funzioni cerebrali (noto come demenza), i trattamenti con luce indotta per mezzo di fotosensibilizzanti organici hanno mostrato di riuscire a sopprimere la formazione di depositi, fin dalla fase iniziale. Questo potrebbe sia prevenire la malattia che arrestare il progresso.
La luce e i suoi benefici effetti
Il team di ricerca ha potuto verificare come l’utilizzo di luci led blu abbia effettivamente impedito l’accumulo di beta-amiloidi. Le luci sono state abbinate a un induttore porfirina, che è un composto organico biocompatibile. Questo composto assorbe energia luminosa, attivandosi. Dopo di che, quando la porfirina torna allo stato basa si crea dell’ossigeno attivo. A sua volta, l’ossigeno attivo fa ossidare un monomero beta-amiloide, e combinandosi con questo ne disturba l’aggregazione. I test condotti in laboratorio hanno mostrato una riduzione significativa dei danni alle sinapsi e ai muscoli, dell’apoptosi (morte) neuronale, del degrado della motilità e della riduzione della longevità. «Questo lavoro significativo, perché è il primo a usare la luce e fotosensibilizzanti per fermare i depositi di beta-amiloidi», conclude Chan Beum Park del Materials Science and Engineering Department al KAIST. Lo studio è stato pubblicato su Angewandte Chemie.