23 aprile 2025
Aggiornato 22:30
L'intervista

D’Orsi: «Sembra di rivivere i mesi che portarono alla prima guerra mondiale»

Lo storico Angelo D’Orsi mette in guardia ai microfoni del DiariodelWeb.it dagli inquietanti precedenti che richiama l’escalation del conflitto in Ucraina

D’Orsi: «Sembra di rivivere i mesi che portarono alla prima guerra mondiale»
D’Orsi: «Sembra di rivivere i mesi che portarono alla prima guerra mondiale» Foto: Sputnik

«Il compito fondamentale degli intellettuali è quello di togliere il velo della propaganda, cioè far vedere come stanno veramente le cose». E un intellettuale, pure di grande lignaggio, il professor Angelo d’Orsi lo è sicuramente. Storico e accademico, filosofo e scrittore, docente in Italia e all’estero, oggi è uno dei pochi pensatori che fa sentire nei salotti televisivi una voce dissonante rispetto alla narrazione ufficiale sulla guerra in Ucraina. Lo ha fatto anche ai microfoni del DiariodelWeb.it.

Professor Angelo D'Orsi, come stanno veramente le cose?
Il mio maestro Norberto Bobbio mi ha insegnato a diffidare delle semplificazioni. E in tutti i momenti di conflitto, da quelli interni come gli scontri sociali o le campagne elettorali dure, a quelli esterni, la semplificazione più usuale e più facile è quella della bipartizione tossica: bene contro male. Oggi il male è rappresentato dai russi.

È già partita la caccia al russo?
Si inizia a dire che i russi sono diversi da noi, sono barbari. E questo fa molto male, perché non posso neanche concepire l'identità europea senza Dostoevskij, senza Cajkovskij, senza l'arte, la musica, la letteratura, il cinema, ma anche la tradizione della spiritualità russi. La Russia non è Asia, è un pezzo importante dell'Europa.

A forza di criminalizzare il nemico, diventa impossibile poter trattare una pace.
Infatti l'Ucraina sta soffrendo proprio per la politica scellerata del suo presidente Zelensky e per quella degli Stati Uniti, che lo sostengono. E per quella dell'Unione europea, che vanno loro dietro rinunciando a qualsiasi politica autonoma. Perdendo un'occasione importante: quella di smarcarsi, rafforzare la sua identità e non perdere la trama di relazioni con la Russia costruita nel corso di decenni. Perché noi abbiamo bisogno della Russia, così come la Russia ha bisogno di noi.

E invece gli Stati Uniti a che cosa mirano?
A spezzare i nessi tra l'Europa e la Russia a proprio vantaggio. Sono loro a non volere la pace, non i russi. Vogliono proseguire la guerra per fiaccare Mosca, impegnarla in una guerra in stile Afghanistan finché getterà la spugna. E toglierle quel ruolo di attore mondiale che era riuscita faticosamente a riconquistare. Gli Usa, oggi, non accettano che stanno perdendo la loro egemonia e che il mondo si sta trasformando in multipolare.

Gli americani si sentono franare la terra sotto i piedi?
Temono il grande gigante cinese e credono di fermarlo indebolendo la Russia, ma non si rendono conto che proprio in questo modo rafforzano quell'alleanza. Oltre a buttare tra le braccia della Cina tutti quei Paesi che non hanno votato le sanzioni alle Nazioni unite, cioè la stragrande maggioranza. Comprese alcune potenze nucleari come l'India e il Pakistan.

Lei crede davvero che stiamo correndo verso la terza guerra mondiale?
Continuando a mandare armi sempre più pesanti il rischio che la guerra diventi mondiale è concreto e molto forte. Io l'ho definita una guerra glocal: locale, ma anche globale. E sostenere che tanto la bomba atomica non sarà usata è un modo per autorassicurarsi. Corriamo quello che nella storiografia e nella scienza politica è stato chiamato il «rischio 1914».

Ovvero?
Nessuno voleva la prima guerra mondiale, né pensava potesse esplodere. Ma ciascuno degli attori in campo ha alzato via via l'asticella, con grande irresponsabilità. E ci siamo ritrovati in guerra.

Trova delle similitudini tra la situazione attuale e quella dell'epoca?
Vedo un solo precedente rispetto a ciò che sta accadendo oggi in Italia: lo scontro tra neutralisti e interventisti nell'estate del 1914. Oggi come allora i guerrafondai, quelli che vogliono armare l'Ucraina e aumentare le spese militari, sono in minoranza. Tutti i sondaggi ce lo dicono. Ma ci dicono anche che il governo e il parlamento se ne fregano. La differenza è che all'epoca alla guida degli interventisti c'erano Gabriele D'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini. La creme de la creme degli intellettuali.

Oggi non vediamo certo in campo dei personaggi dello stesso calibro.
Eppure, se leggiamo gli appelli che intellettuali prestigiosi scrissero già nell'autunno del 1914, quando il conflitto era cominciato solo da qualche mese, troviamo gli stessi slogan di oggi: questa è la guerra della civiltà contro la barbarie. Negli stessi mesi Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura, invitava i suoi colleghi a non farsi trascinare nella canea bellicista, a non rinunciare all'uso della ragione, a dare avvertimenti ai politici. Invece ora buona parte degli intellettuali o tace o si inserisce nel coro.

Ci ricorda cosa accadde nel nostro Paese dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale?
A parlamento chiuso, perché la maggioranza era neutralista, nel maggio del 1915 l'Italia fu portata in guerra da tre persone: il re Vittorio Emanuele III, il presidente del Consiglio Antonio Salandra e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino, entrambi grandi proprietari terrieri. Il risultato fu la morte di 600 mila giovani, con l'influenza spagnola che moltiplicò quasi per tre questo conto tragico. Perché dobbiamo ricordarci che la guerra è questo.

Non è un precedente rassicurante.
No, non lo è.