25 aprile 2024
Aggiornato 03:00
L'intervista

Franz: «Io, aggredito per aver scritto un libro contro la gestione del Covid»

Il filosofo Emanuele Franz, minacciato e attaccato per il suo libro «Io nego», al DiariodelWeb.it: «Speranza dice che le restrizioni sono per il nostro bene. Ma quale bene?»

Franz: «Io, aggredito per aver scritto un libro contro la gestione del Covid»
Franz: «Io, aggredito per aver scritto un libro contro la gestione del Covid» Foto: ANSA

Alla dittatura del pensiero unico sulla pandemia e alla censura, più o meno esplicita, di qualunque punto di vista minimamente critico sulla gestione sanitaria e politica del Covid-19 siamo ormai abituati da oltre un anno. Ma contro qualcuno si è passati finanche alle vie di fatto. È la triste storia di cui è stato involontario protagonista Emanuele Franz, filosofo e scrittore. Prima messo pubblicamente alla gogna con dei volantini appesi nella sua città, poi, due settimane fa, addirittura aggredito da un energumeno in una pizzeria. Tutto per un libro, «Io nego», in cui contesta le restrizioni imposte contro il coronavirus. Di questo episodio così deprimente, il diretto interessato non ha comprensibilmente molta voglia di parlare: «Non vorrei entrare nei dettagli, è una vicenda ancora in corso e vorrei evitare l'argomento», premette subito in questo colloquio con il DiariodelWeb.it.

Emanuele Franz, allora le chiedo più in generale che tipo di accoglienza ha ricevuto dopo la pubblicazione di questo libro.
Posso dire senza problemi di essere stato sottoposto a fortissime pressioni per questo libro. Oltre a non invitarmi più alle presentazioni e ai convegni, da settimane subisco atteggiamenti minatori da parte dei soliti facinorosi, e qualcuno è passato anche alle mani.

Si aspettava una reazione del genere?
No, ha suscitato un vespaio che nemmeno mi immaginavo. Il titolo ha sicuramente inciso non poco sulle reazioni: perché è provocatorio, ma in senso positivo. Come faceva Nietsche. Oggi si affibbia l'etichetta di negazionista a qualunque cosa che non si riesca bene ad identificare.

Immagino che lei non si riconosca in questo appellativo.
Io sfido un luogo comune: sono un filosofo, dunque uso il verbo «nego» in questo contesto, quello della filosofia greca, della scolastica. Negare, cioè spiegare come «non è» una realtà, per arrivare ad un'affermazione. Questo crea uno smarrimento in alcuni lettori, soprattutto chi vorrebbe criticare facilmente. Ma questo smarrimento non solo è voluto, tramite il sapiente uso della scrittura, ma addirittura necessario per portare il lettore a porsi delle domande. In un certo senso, il filosofo deve smarrire la persona.

Dunque qual è il contenuto del suo libro?
Anche chi si aspettava di trovare le consuete critiche dal punto di vista statistico, medico, amministrativo, politico è rimasto disilluso. Io parlo di come le normative emergenziali alterino le ritualità, le gestualità, gli usi e i costumi della specie umana: il culto dei morti, le strette di mano, gli abbracci. Il mio è un approfondimento psicologico ma anche antropologico: delle strette di mano ci sono esempi addirittura nell'«Odissea» di Omero. La mia riflessione va molto più a monte rispetto alla semplice analisi dei numeri.

Insomma, lei mette in dubbio le ragioni profonde che hanno animato le politiche restrittive.
Sì. Io vado alla radice e critico una visione del mondo: la riduzione dell'uomo ad un cumulo di ossa, carne, sangue e nervi. Mentre l'uomo è un progetto, un'intelligenza, una comunità. Ha una cultura e dei valori, che non sono estrinsecabili dal suo corpo: anzi, il senso di aiuto reciproco rafforza la sua salute e il suo benessere.

Il primo comandamento della gestione della pandemia è stato quello di dividere, di separare.
Mentre la vita stessa è un assembramento. Le componenti si assembrano in strutture via via più complesse, formando un'unità superiore, che è maggiore della somma delle sue parti: dalle cellule ai tessuti, agli organi, agli organismi interi. Mentre tutte le direttive avevano appunto in comune la volontà di distanziare, quarantenare. Seppur con evidenti contraddizioni. Perché limitavano soprattutto l'accesso ai cimiteri, ai culti funebri, alle chiese, ai musei, alle biblioteche: cioè i luoghi di intelligenza, di riflessione, d'introspezione. Altri, come banche e uffici assicurativi, sono rimasti aperti.

Il denaro ha la priorità sulla cultura. Questo tradisce un'idea di fondo ben precisa, che evidentemente anima le classi dirigenti.
Io accuso un intero modello di vita che, per me, è arrivato al collasso.

Quindi la gestione della pandemia si inserisce in un contesto di involuzione più generale, che si è portata avanti negli ultimi anni.
Indubbiamente. Separare, dividere, ha effetti devastanti. Pensiamo al Novecento, quando per la prima volta l'uomo ha spezzato l'atomo: di lì a poco è sorta la bomba atomica.

Ma perché il suo punto di vista fa così paura da scatenare reazioni violente?
Non credo che sia una sola persona a prendersela con il libro. Si tratta di un atteggiamento collettivo. Il dissenso diventa come un totem, sul quale scaricare ogni sorta di male sociale: il disagio, la frustrazione e l'impotenza dell'insicurezza che si è venuta a creare. Un pupazzo vudù da stropicciare. Una valvola di sfogo. Se mio nonno ha preso il Covid è colpa di quello lì. Non c'è più una ragione, un confronto, un dialogo: è un'isteria collettiva.

Si cerca il capro espiatorio. Come quando, durante il lockdown, quei poveracci che portavano a spasso i cani o si facevano una passeggiata in spiaggia venivano additati ad untori.
Al ministro della Salute, Speranza, che afferma di fare tutto questo per il nostro bene, vorrei anche chiedere che cosa sia il bene, dal punto di vista filosofico. I politici devono porsi questa domanda. Per me il bene è essere per l'altro. Allora non possono mettere la multa ad un senzatetto perché non rispetta le regole della quarantena, non possono tenere un anziano con le stampelle sotto la neve a fare la coda perché non può entrare in un ufficio postale vuoto. È questo che io nego. Io nego che quello sia il bene. Io nego che quella sia vita.