19 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Politiche vaticane

Mike Pompeo in Vaticano «nonostante» la Cina

Le distanze di visione geopolitica, in particolare sulla Cina, non chiuderanno al Segretario di Stato USA Mike Pompeo, nei prossimi giorni a Roma, le porte del Vaticano

Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo in un precedente incontro con Papa Francesco
Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo in un precedente incontro con Papa Francesco Foto: ANSA/EPA

Le distanze di visione geopolitica, in particolare sulla Cina, non chiuderanno al Segretario di Stato USA Mike Pompeo, nei prossimi giorni a Roma, le porte del Vaticano, il piccolo Stato con ramificazioni diplomatiche in tutto il mondo da sempre capace di mantenere aperto il confronto anche con le amministrazioni meno in sintonia con il Papa.

Francesco non riceverà il capo delle feluche di Donald Trump, ma un simile incontro non è mai entrato ufficialmente nell'agenda vaticana. Non solo perché sarebbe più unico che raro che un Pontefice, ossia un Capo di Stato, anziché un omologo ricevesse un «semplice» ministro degli Esteri: e, infatti, nonostante le divergenze e l'acceso diverbio a distanza che i due avevano avuto nei mesi precedenti, Jorge Mario Bergoglio non ha esitato a ricevere Trump nel corso della sua visita a Roma nel maggio del 2017.

Un'udienza ad un rappresentante politico sarebbe tanto più inopportuno nelle settimane che precedono le cruciali elezioni presidenziali di oltreatlantico. La sfida elettorale tra Donald Trump e Joe Biden, tra repubblicani e democratici, è particolarmente accesa, il tema della fede cattolica viene brandito da entrambe le parti, l'inquilino della Casa Bianca ha mostrato anche negli ultimi giorni, con la nomina alla Corte Suprema della cattolica Amy Coney Barrett, conservatrice carismatica, di poter cavalcare il tema per conquistare l'elettorato cattolico, tradizionalmente diviso: è naturale, per questo come per ogni altro Papa, tenersi a debita distanza dalla contesa elettorale.

Mike Pompeo vedrà, però, i vertici della diplomazia vaticana, e in ben due diverse occasioni. Innanzitutto mercoledì 30 settembre il Segretario di Stato Usa parteciperà ad un simposio intitolato «Fare avanzare e difendere la libertà religiosa internazionale attraverso la diplomazia». L'appuntamento è organizzato dall'ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, guidata da Callista Gingrich, moglie di Newt Gingrich, ex presidente della Camera dei rappresentanti e tuttora figura di peso nel partito repubblicano Usa. Già l'anno scorso, a settembre 2019, Pompeo aveva partecipato ad un evento analogo, intitolato allora «Percorsi per raggiungere la dignità umana: collaborare con organizzazioni basate sulla fede». Quest'anno ad aprire il simposio insieme a Pompeo sarà il ministro degli Esteri della Santa Sede, l'arcivescovo britannico Paul Richard Gallagher, e a chiudere la mattinata sarà il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. Parolin e Gallagher riceveranno poi Pompeo nel Palazzo apostolico, il giorno dopo, per un'udienza a porte chiuse dove sarà possibile sviscerare ulteriormente i temi di comune interesse con l'amministrazione a stelle e strisce.

Le questioni sul tappeto sono molte

Se nelle ultime ore è scoppiato nel Caucaso un conflitto, tra Azerbaijan e Armenia, che ha un risvolto religioso (il Papa ha ricevuto domenica il Catholicos della Chiesa apostolica armena ed ha fatto appello alla fine delle ostilità alla preghiera dell'Angelus), un altro paese può far registrare una notevole sintonia tra Chiesa cattolica e amministrazione Trump, la Bielorussia. Nei giorni scorsi, non casualmente, Pompeo ha espresso via Twitter la propria condanna nei confronti delle autorità bielorusse che hanno impedito all'arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz, arcivescovo di Minsk, di fare rientro nel paese dopo un breve viaggio in Polonia.

Ma tanto sono possibili le convergenze quanto, profonde ed esplicite, sono le divergenze. Nei giorni scorsi Pompeo ha scritto un articolo sul sito cattolico conservatore First Things per criticare l'accordo tra Cina e Santa Sede sulle nomine episcopali che proprio in questi giorni dovrebbe essere rinnovato. Il tema è cruciale. La Santa Sede ha ben presente le difficoltà dei cattolici cinesi, come di altre minoranze religiose, e guarda con apprensione alla curvatura autoritaria ad Hong Kong. Ma ha altresì chiara la valenza strategica di lungo periodo di instaurare con Pechino un dialogo rispettoso, sia per il bene dei fedeli di quel paese, sia per il posizionamento della Chiesa cattolica nello scacchiere mondiale dei decenni a venire. Gli uomini del Papa non hanno fretta di riallacciare i rapporti diplomatici interrotti all'epoca di Mao Tse-tung, nel 1951, ma hanno puntato molte energie per raggiungere, due anni fa, lo storico accordo, di natura squisitamente religiosa, sulle nomine dei nuovi vescovi, che ha permesso di chiudere uno scisma che si trascinava da decenni tra la Chiesa riconosciuto dal Partito e quella fedele a Roma.

Una dissonanza aperta, dunque, che non implica per forza assenza di coordinamento. Come ha osservato Francesco Sisci, grande esperto di rapporti sino-vaticani, nonché colui che ha intervistato il Papa sulla Cina in una pubblicazione che ha spianato la strada all'accordo sui vescovi, «l'amministrazione Trump ha poco appeal fuori dagli Stati Uniti, e questa è una delle sue maggiori debolezze, dove la sua politica cinese, che necessiterebbe di un respiro globale, potrebbe inciampare e cadere se venisse rieletto. AL contrario il Papa, nonostante tutte le controversie in Vaticano, è estremamente forte e considerato a livello mondiale. Entrambi potrebbero allora avere un interesse a collaborare sulla Cina, nonostante le molte differenze, o forse proprio a causa delle differenze».

Di certo il cardinale Parolin, gran tessitore dell'accordo cinese, ha una visione articolata dei rapporti internazionali e del ruolo della Cina nel mondo. Qualche giorno dopo l'incontro con Pompeo, il 3 ottobre, sarà a Milano, ospite del Pontificio istituto missioni estere (Pime) per parlare di Cina. «Le origini della diffusione del Coronavirus, lo scontro geopolitico con Washington, le nomine dei vescovi: mai quanto in questo 2020 la Cina è stata al centro dell'attenzione del mondo», si legge in una nota. «Ma il rischio è quello di parlarne fermandosi a qualche facile slogan. Proprio per provare ad andare oltre questo atteggiamento il Pime promuove per la mattina di sabato 3 ottobre il convegno 'Un'altra Cina'».

(con fonte Askanews)