27 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Torino

L'onda sì Tav invade Torino. Ma è una piazza strana, e potenzialmente pericolosa

E' una piazza affollatissima, ma è una piazza strana. Perché qui confluiscono anime molto diverse, e probabilmente telecomandate da qualcuno

TORINO - L’onda «sì Tav» invade piazza Castello a Torino. E' vero. C'eravamo. La manifestazione a favore della Torino-Lione è stata un successo per gli organizzatori, enorme: 30 mila persone almeno. Qualcuno dice persino 40mila. Soprattutto agée, vestite bene, come quelle che si incontrano agli eventi che contano, a Torino. L'impressione è quella di un mondo che non c'è più, però. A promuoverla ufficialmente un gruppo di sette donne, sette imprenditrici, che hanno lanciato su Facebook il gruppo «Sì, Torino va avanti», nato dopo l’approvazione in Consiglio comunale di Torino dell’ordine del giorno con il quale il Comune ha espresso ufficialmente la propria opposizione alla Tav. In piazza cartelli «Sì Tav, sì lavoro», le uniche bandiere sono quelle del tricolore, dell’Europa e dei cinque cerchi delle Olimpiadi. «Siamo sette donne non manovrate da nessuno. Siamo noi con la nostra testa. Qualcuno in Comune ha detto che Torino è una città No Tav, noi come le migliaia di persone in piazza oggi vogliamo dire sì», grida dal palco una di loro, Patrizia Ghiazza. 

Il futuro del Paese, sì ma quale?
Mino Giachino, l'uomo che ha lanciato la petizione su Change.org a favore della Torino-Lione che ha superato le 60 mila adesioni, apre il presidio inneggiando al «sogno»: «Non puo esserci scambio tra metropolitana e Tav, noi vogliamo tutto. Vogliamo che le nostre aziende continuino a crescere in questa città. Da oggi cambia il vento e il vento è a favore delle infrastrutture»«Da Torino parte un messaggio forte e chiaro che riguarda tutta l’Italia» chiosa il presidente dell’Unione Industriale Dario Gallina. «Un messaggio per le grandi opere di collegamento verso l’Europa, per il nostro futuro e quello delle nostre imprese, per il lavoro e le future generazioni». Gallina ribadisce a gran voce che la Torino-Lione e il Terzo Valico «possono determinare la centralità dell’Italia in Europa. Chi ha responsabilità di governo può e deve avere la statura politica di cambiare decisioni e idee se non sono coerenti con il futuro del Paese».

In piazza anime volutamente contrapposte
E' una piazza affollatissima, ma è una piazza strana, pericolosa per certi versi. Perché qui confluiscono anime molto diverse, volutamente contrapposte, fatte apposta coincidere negli intenti. C'è la sinistra, c'è il Pd (che sinistra non è e non è mai stato), c'è il centrodestra di ispirazione berlusconiana-liberista, c'è la destra vera, c'è persino CasaPound. C'è chi crede davvero nella Tav, chi odia o mal sopporta la Appendino, chi vuole, a ragione, far ripartire Torino. I parlamentari leghisti dicono: «Rispettiamo gli impegni con M5s, ma ribadiamo che l'opera va realizzata». Il ministro dell'Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio, rinforza: «La Tav serve, secondo noi si fa». Appendino replica: «Accolgo le critiche, le mie porte sono aperte. Molte energie positive». Il sottosegretario M5s agli Affari esteri Manlio Di Stefano avverte: «Sulla questione Tav è fondamentale la democrazia così come la partecipazione, ma bisogna essere chiari e sinceri con i cittadini. Chi sostiene questo governo deve ricordare ai torinesi che stiamo valutando costi-benefici dell'opera, così come scritto nel contratto. Se l'analisi ci dirà che fare l'opera è un sacrificio economico, e dunque comporterà un grosso debito per gli italiani, l'opera chiaramente non si farà».

Chi comanda
Difficile credere che le sette imprenditrici di cui sopra non siano manovrate da nessuno, magari senza saperlo. C'è tutto il Sistema Torino in piazza. C'è tutta la borghesia che conta, che investe, che spende. Che vuole fare soldi. Con un'idea di città in testa ben precisa. Una piccola metropoli che cresce a ritmi vertiginosi, nel loro sogno, per usare un'espressione cara ai sostenitori dei Giochi olimpici. L'ideologia post-industriale, o de-industriale verrebbe da dire, si compie qui, oggi. Da quando la Fiat ha smesso di puntare sulla capitale operaia d'Italia, Torino ha intrapreso un percorso di caduta libera di fronte al quale nessuno ha mai così vigorosamente protestato. Perché faceva comodo così. Quando loro, gli imprenditori illuminati, spostavano le produzioni altrove, tutti zitti. Quando loro licenziavano perché la «globalizzazione funziona così», tutti zitti. Quando loro erodevano i diritti dei lavoratori in nome della flessibilità (edulcorante sinonimo di precarietà), tutti zitti.

Da che parte stiamo
Oggi, invece, si vuol esprimere che la «decrescita grillina» fa male, che le Grandi Opere fanno bene, portano lavoro, portano sviluppo. No. Non è così molto spesso, e sicuramente non lo è nel caso della Tav. E' stato ampiamente dimostrato in 30 anni di lotta della Valsusa. Chiara Appendino, purtroppo, non è diversa, o non è stata capace di esserlo. Nonostante la posizione no Tav, sembra in balia di decisioni di altri, prese a livelli ben più alti. Industriali, fondazioni bancarie, sistema economico-finanziario. Quello che da sempre comanda a Torino, anche se in pochi lo sanno. Qualcuno ha evocato la celebre marcia dei 40mila della Fiat, quando impiegati e quadri scesero in piazza per difendere il padrone, e non gli operai. La prima, storica, spaccatura tra i colletti bianchi, la borghesia che sarebbe diventata egemonia finanziaria, e le tute blu, i lavoratori che si sporcano le mani. Oggi, più che mai, bisogna scegliere da che parte stare: con la finanza, con i poteri forti, o con chi crede ancora che lo Stato debba fare lo Stato, anche in economia. E guai a parlare del vero problema di Torino: il livello di povertà, e la mancanza di lavoro, di oggi e di domani. Tutti zitti.