24 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Mafia

«Ora la verità sul depistaggio»: le 13 domande senza risposta della figlia di Borsellino

A 26 anni dalla strage di via d'Amelio Fiammetta Borsellino su Repubblica pone una serie di quesiti «che io e i miei fratelli non smetteremo di ripetere»

Un momento della commemorazione per i 25 anni dalla strage di via d'Amelio, Palermo, 19 luglio 2017
Un momento della commemorazione per i 25 anni dalla strage di via d'Amelio, Palermo, 19 luglio 2017 Foto: ANSA / FRANCO LANNINO ANSA

PALERMO - «Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre, Paolo Borsellino, ucciso a Palermo insieme ai poliziotti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. E, ancora, aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo». Lo scrive Fiammetta Borsellino in una lettera su Repubblica. «Ci sono domande? Le domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere?» Domande «che non possono essere rimosse dall'indifferenza o da colpevoli disattenzioni». Domande «su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici». Sono tredici le domande poste dalla figlia del giudice antimafia ucciso il 19 luglio del 1992.

Le domande poste da Fiammetta Borsellino 
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Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere Borsellino dopo l'assassinio di Giovanni Falcone? 
- Perché fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? 
- Perché via D'Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione della famosa agenda rossa del magistrato? 
- E perché Giuseppe Ayala ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?
- Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco? 

Le domande sempre più scomode
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Perché nei 57 giorni fra l'assassinio di Falcone e quello di Borsellino i pm di Caltanissetta non convocarono quest'ultimo, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire? 
- Cosa c'è ancora negli archivi del vecchio Sisde sul falso pentito Scarantino e sul suo suggeritore, l'ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera? 
- Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? 
- Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino? 
- Perché la pm Ilda Boccassini autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l'inizio della sua collaborazione con la giustizia? 
- Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? 
- Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall'ispettore Mattei a Scarantino? 
«Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un'intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l'intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito». 
- Come facevano a prevederlo? 
- Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?