29 marzo 2024
Aggiornato 12:30
Politica

Macché «fascisti»: Salvini e Di Maio sono la nuova destra e la nuova sinistra

Lega e M5s stanno sostituendo Forza Italia e Pd, rimasti indietro al secolo scorso. E stanno costruendo l'alternanza democratica della Terza repubblica

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio Foto: ANSA/ETTORE FERRARI ANSA

ROMA – C'è una legge generale della fisica che vale, a maggior ragione, anche nel campo della politica: il vuoto assoluto non esiste. Non appena uno spazio si svuota, in altre parole, arriva immediatamente e invariabilmente qualcosa (o qualcuno) a riempirlo. È proprio quello che è capitato in questi anni al centrodestra italiano: man mano che la leadership di Silvio Berlusconi evaporava, di pari passo si consolidava quella di Matteo Salvini. Le sue capacità da ministro, per ovvi motivi, sono ancora tutte da dimostrare; quelle da politico, invece, le ha già messe ampiamente alla prova. Prima in campagna elettorale, ma anche ora che ha ormai ottenuto il suo scranno, e con gli stessi strumenti: ovvero presidiando, ascoltando e amplificando il disagio di quel popolo sovranista, sicuritario, spaventato dai migranti e dall'Europa. Si può essere d'accordo o meno con queste rivendicazioni, e con gli slogan proposti dal segretario della Lega, ma sulla loro efficacia in termini di consenso c'è poco da dire: basta guardare i dati dei sondaggi. Di questa avanzata così irresistibile rischiava però di fare le spese (e, in parte, le ha fatte) il Movimento 5 stelle. Non a caso, nell'ottica di tutti i grandi analisti, Di Maio si è rapidamente trasformato da azionista di maggioranza del governo Conte (grazie ai suoi numeri in parlamento) in azionista di minoranza (quantomeno dal punto di vista mediatico). Per non finire stritolato dal suo ingombrante alleato, insomma, il capo politico dei grillini non aveva che una strada: occupare l'altro spazio politico rimasto vuoto dopo le ultime consultazioni, quello del centrosinistra. E lui, che in quanto a furbizia e sagacia tattica non sembra poi troppo inferiore a Salvini, questo fatto lo ha subito capito e ha iniziato a metterlo in pratica.

Poi dice che uno si butta a sinistra...
Non è un caso, del resto, se Di Maio ha deciso di tenere per sé proprio il ministero del Lavoro e se, come suo primo atto al governo, ha aperto un tavolo sulla questione dei rider. Certo, la sua affidabilità (e quindi il consenso del M5s) si misurerà sugli atti concreti che riuscirà a portare a casa su questi temi: primo fra tutti il famigerato reddito di cittadinanza, spartiacque decisivo per convincere il suo elettorato della sua capacità di mantenere le promesse. Ma intanto il numero uno pentastellato ha già dato un primo segnale: ha incluso nell'agenda politica i problemi di quell'esercito di trentenni che, fino ad oggi, ne era stato completamente tagliato fuori. Il Movimento 5 stelle, in altre parole, ha abbandonato le sue assurde pretese di terzietà per iniziare a rivolgersi proprio a coloro a cui la sinistra, per sua stessa ragione sociale, avrebbe dovuto guardare: gli ultimi della società. Che, nel ventunesimo secolo, non sono più gli operai o i cassintegrati, bensì i precari, le finte partite Iva, gli schiavi della gig economy, quelli che a fine mese non hanno nemmeno la certezza di portare a casa uno stipendio o una cassa integrazione. Perfino le dichiarazioni o i gesti simbolici dell'ala gialla di questo esecutivo rispondono a questo riposizionamento progressista: dal brusco stop alla proposta salviniana di schedare i rom alla mozione per dichiarare «Roma città antifascista», fino alla nomina della transgender Milovan Ferronato alla guida del padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia. Alla faccia del governo omofobo e razzista.

Indietro di cent'anni
Il centrosinistra originario (quello del Pd e, ancor peggio, di Liberi e uguali), invece, non solo ha perso la presa sul proprio elettorato, ma sta dimostrando di non cogliere neppure la stessa complessità dialettica insita in questa maggioranza. L'unica risposta che è capace di dare, come fosse un riflesso condizionato, è quella di gridare al fascismo, di evocare lo spettro del Duce, senza però offrire alcuna concreta alternativa politica. Con il risultato che, a furia di ripetere «al lupo al lupo», nessuno ormai gli crede più. Renzi e i suoi, esattamente come Berlusconi nel campo opposto, si sono insomma suicidati, autocondannati all'irrilevanza, addirittura all'estinzione. M5s e Lega, al contrario, da posizioni contrapposte pur all'interno di una stessa alleanza, stanno gettando concretamente le basi della Terza repubblica. Ecco, più che il governo del cambiamento, potremmo allora definire questo il governo del compromesso, nel senso storico inteso da Aldo Moro. Come avrebbero dovuto fare Dc e Pci precisamente quarant'anni fa, il nuovo centrodestra e il nuovo centrosinistra (per usare etichette sorpassate ma comprensibili anche ai nostalgici) oggi governano insieme. Non con l'obiettivo di formare una coalizione stabile, beninteso, ma di ricondurre nell'alveo costituzionale due forze che in futuro saranno destinate all'alternanza, nel libero gioco democratico. A tutti gli altri partiti auguriamo grande fortuna, nelle elezioni del 1918.