19 aprile 2024
Aggiornato 18:00
Governo

La passione sfrenata per le poltrone del M5s: Di Maio vuole fare il capo se no buca il pallone

Matteo Salvini, sorprendentemente, emerge come un statista di fronte all'infantilismo pentastellare

Il capo politico del M5s Luigi Di Maio
Il capo politico del M5s Luigi Di Maio Foto: ANSA/ETTORE FERRARI ANSA

ROMA - Chi l’avrebbe mai detto: Matteo Salvini, messi da parte i toni da capo popolo, sta vestendo i panni del buon senso. La crisi di governo, proprio per questa ragione, paradossalmente si acuisce e la soluzione di un’alleanza programmatica tra Lega e M5s si allontana. Changez la femme ora il M5s guarda al Pd. Come sono lontani i tempi rivoluzionari in cui Beppe Grillo, e l’intero mondo pentastellare, portava avanti la teoria dei «portavoce»: contano solo i programmi, la materia, le cose. I personalismi sono fuori tempo, roba morta. Correvano gli anni, veramente rivoluzionari, del cambiamento radicale: 2012-2013-2014. Poi l’inesorabile trasformazione sistemica, per giungere fino ad oggi in cui l’unica cosa che conta per il M5s sono le famose, odiate, poltrone. Di fronte alla isterica reazione di Luigi Di Maio, con tratti vagamente leninisti - io, il capo sono io, il capo sono io e basta – le parole del capo della Lega suonano decisamente più moderate, e adulte. Un binomio sconcertante: colui che doveva essere il "responsabile", Luigi Di Maio, è travolto dall’egocentrismo. Colui che doveva essere un fanatico populista, si pone su un piano culturalmente superiore. Salvini infatti non vuole essere «il capo di governo a ogni costo" e non tradisce l’alleanza con Berlusconi e Meloni: almeno al momento. In un mondo fatto di giravolte e tradimenti, la sue parole tracciano un solco. Vedremo quanto dureranno. Per chi considera Salvini e la sua idea di mondo come un avversario, vedere questa trasformazione lascia senza parole. Il capo della Lega gioca a carte scoperte, senza nulla da nascondere: mentre tutti coloro che lo circondano complottano. 

Programmi addio: uno vale l'altro
Il M5s sta uscendo mediaticamente malconcio in questi giorni: la facilità di costumi con cui si offre al primo che passa fa sorgere seri dubbi sulla serietà di questo partito. Non è possibile passare nel giro di due settimane da un governo con gli euroscettici della Lega, agli ultras dell’europeismo del Partito Democratico. Da una politica estera – con il centrodestra – che privilegia il dialogo con la Russia e Vladimir Putin, a un governo – con il Partito Democratico – esclusivamente euro atlantico e quindi dichiaratamente anti russo. Dai diritti civili alle sentinelle in piedi. La vaghezza dei programmi, unita alla loro spregiudicata ricerca di posti di governo, fa supporre sempre più che il M5s sia un partito nato esclusivamente per portare avanti quello che Antonio Gramsci teorizzava come «processo di sostituzione». La rivalsa degli esclusi che fanno una rivoluzione non per cambiare il sistema, ma per occuparne i posti di potere. Per arrivare laddove dove sono stati sempre eslusi per motivi di censo. 

Fico non basta
In tutto questo non basta la figura, romantica ed encomiabile sicuramente, di Roberto Fico: l’uomo della porta accanto che rinuncia ai privilegi della odiata casta. Perché nel momento in cui lui sale sull’autobus i suoi colleghi di governo pensano solo a se stessi. Addirittura chiamando in causa «la democrazia», dimenticando che la coalizione vincitrice delle elezioni si chiama centrodestra. Manca nel M5s un senso della realtà, rimane la logica della setta religiosa, o del partito rivoluzionario: che però non si accorge di essere diventato esso stesso un pezzo del sistema. Nel momento in cui gli uomini del M5s lottano per ottenere le poltrone delle vicepresidenze di Camera e Senato, significa che il processo di osmosi con il sistema è completo.

Travaglio e l'Unità
Questo accade nel giorno in cui Moscovici, da Bruxelles, tuona contro il debito pubblico italiano, e chiede a gran voce il suo taglio al prossimo governo. Questo accade nel giorno in cui Mario Draghi tuona contro chi vuole bloccare la riforma della Legge Fornero, e anzi annuncia che ci saranno delle restrizioni proprio sulle pensioni degli italiani: ormai diventate una chimera. A difendere come pasdaran della rivoluzione, le guardie gialle del M5s, Marco Travaglio e Andrea Scanzi, ormai diventati megafoni del loro partito, disposti a tutto per difendere la loro squadra del cuore. Personaggi che dovevano tracciare un nuovo solco culturale italiano, diventato gli epigoni dei peggiori editorialisti dell’Unità pro Renzi che hanno sempre deriso. Parafrasando i loro ridicoli editoriali, «Il M5s ha sempre ragione», oppure, per chi ha gusti opposti, «Quando il partito dice che il nero è bianco, l’attivista pentastellare dice che il nero è bianco». Sono i tragici tempi in cui viviamo.