Referendum, la riforma costituzionale in 5 punti
Dal superamento del bicameralismo alle modifiche del Titolo V, dall'abolizione del CNEL alle nuove modalità di elezione del Presidente della Repubblica: ecco cosa cambia se al referendum costituzionale di ottobre vincerà il «sì»
ROMA – Il referendum costituzionale di ottobre sta assorbendo buona parte della vita politica del Paese. Sul sito del Senato si legge che il decreto legge Boschi, approvato in via definitiva lo scorso 12 aprile con 361 sì e 7 no, riguarda le disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro) e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione. Ma quali nel dettaglio le modifiche previste dal ddl Boschi? Come cambia la Costituzione? Ecco la riforma in cinque punti.
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Il superamento del bicameralismo perfetto. Mediaticamente parlando, il referendum di ottobre passa soprattutto per essere il referendum che abolisce il Senato. Dei 315 senatori ne rimarrebbero novantacinque rappresentativi delle istituzioni territoriali, ai quali si sommerebbero cinque senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Il Senato, dunque, avrà sempre più le caratteristiche di un organo di rappresentanza degli Enti territoriali e di raccordo tra lo Stato e gli altri Enti costitutivi della Repubblica. Cambia, inoltre, la natura legislativa della camera. Il nuovo Senato manterrà gli stessi poteri di quello precedente solo rispetto ad alcune determinate categorie di leggi (espresse dalla Costituzione), mentre per il resto sarà solo la Camera dei deputati ad approvarle. Il Senato potrà, però, formulare proposte di modifica che passeranno al vaglio della Camera, che non sarà tenuta a dar seguito alla modifica. Qualora, però, il Senato ponesse all'attenzione della Camera una modifica relativa ai rapporti tra Stato e regioni, solo la maggioranza assoluta potrà stoppare la modifica.
Il numero dei senatori per regione varierà in base al peso demografico. È il secondo articolo del decreto ad occuparsi delle modalità con cui verranno eletti i senatori. Secondo il testo approvato il 12 aprile spetterà ai cittadini, in occasione dell'elezione dei Consigli regionali, scegliere quali consiglieri finiranno nelle fila del Senato. La permanenza in Senato dei senatori coinciderà con quella degli organi delle istituzioni territoriali di cui sono espressione. A rimanere invariata sarà, però, la questione immunità: come i deputati, i senatori non potranno essere arrestati o intercettati senza previa autorizzazione del Senato.
Il ddl Boschi prevede inoltre la fine dei cosiddetti senatori a vita. Oltre ai Capi di Stato, possono essere insigniti di questo titolo anche coloro che hanno «illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario». Per questi la durata non sarà più «a vita» ma per sette anni.
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L'elezione del Capo dello Stato. Ad oggi il presidente della Repubblica viene eletto in seduta comune dal Parlamento e all'elezione partecipano anche 58 delegati eletti dai consigli regionali. Per esseri eletti, serve la maggioranza dei due terzi (672 voti) nei primi tre scrutini, dalla quarta votazione in poi, invece, basta la maggioranza assoluta, cioè il 50 per cento più uno (505 voti). Con la riforma costituzionale, all'elezione non parteciperanno più i delegati regionali, ma solo le camere. Per eleggere il Capo dello Stato, fino al quarto scrutinio sarà necessaria la maggioranza dei due terzi, poi saranno sufficienti i tre quinti. Dal nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta.
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Abolizione del CNEL. Con il ddl Boschi il Consiglio nazionale per l'economia e il lavoro sparirebbe. Il CNEL è un organo ausiliario previsto dalla Costituzione e svolge una funziona consultiva in merito alle leggi su economia e lavoro. Inoltre il Consiglio ha ad oggi il potere di iniziativa legislativa, quindi proponendo al Parlamento leggi di carattere economico.
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La modifica del Titolo V. Già oggetto di modifiche nel 2001, il Titolo V torna ad essere oggetto di cambiamento. Se quindici anni fa il Parlamento riformava quella parte di Costituzione italiana preposta alla determinazione delle autonomie spingendo verso un assetto di tipo «federalistico» e facendo sì che i centri di spesa e di decisione si spostassero dai livelli più alti, lo Stato centrale, a quelli più locali. Sempre più competenze e autonomie, quindi, alle regioni. Con il ddl Boschi circa venti materie ritornano in capo allo Stato, come ad esempio l'ambiente, la gestione di porti e aeroporti, l'energia, le politiche occupazionali e i trasporti.
- Il quorum. Modifiche importanti anche rispetto al quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo. Il quorum resta sempre del 50 per cento, ma qualora a proporre la consultazione fossero 800mila, invece che 500mila, il quorum sarebbe ridotto: in questo caso sarà sufficiente che a votare sia il 50 per cento dei votanti all’ultima tornata elettorale, non il 50 per cento degli aventi diritto. Invece, per proporre una legge d’iniziativa popolare non basteranno più 50mila firme, ma un minimo di 150mila.
Le ragioni del no
Il premier Matteo Renzi punta tutto sul referendum di ottobre. Si gioca la poltrona, il presidente del Consiglio, e assicura che, qualora vincesse il «no», andrebbe a casa. Il premier, insieme alla ministra delle Riforme Maria Elena Boschi ha avviato una vera e propria campagna per il «sì», ma forte si alza il muro di chi si oppone al referendum. Nasce un comitato per il «no» e un sito riporta le posizioni di chi fermamente si oppone alla modifica della Costituzione. «È una riforma che non riduce i costi, non migliora la qualità dell'iter legislativo, ma scippa la sovranità dalle mani del popolo», si legge sul sito del comitato. Si dice «no» allo «scempio» della Costituzione, attuato attraverso una riforma che «sottrae i poteri ai cittadini e mortifica il Parlamento». Si tratterebbe di una «legge oltraggio» che instaura un «regime politico fondato sul governo del partito unico».
Nessun superamento del bicameralismo
Per i sostenitori del «no» non vi sarebbe affatto il superamento del bicameralismo, ma, anzi, oltre alla confusione, si registrerebbero conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato. In contrasto con quanto affermato dal premier, non vi sarebbero grossi risparmi: infatti ci sarebbe un risparmio di solo un quinto dei costi attuali.
Partecipazione dei cittadini indebolita
Attraverso il ddl Boschi il potere centrale verrebbe rafforzato a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari. La partecipazione diretta da parte dei cittadini soffrirebbe particolarmente a causa della riforma: i disegni di legge di iniziativa popolare potranno essere presentati con un minimo di 150mila firme, rispetto alle 50mila richieste attualmente.
Riforma illegittima
Inoltre, da quanto si legge sul sito del «no», si tratterebbe di una riforma illegittima perché, oltre ad essere stata prodotta da un Parlamento eletto con una legge elettorale, quella del Porcellum, dichiarata incostituzionale, è stata scritta «sotto dettatura» del Governo. La sovranità popolare non sarebbe affatto garantita, in quanto il ddl esproprierebbe la sovranità al popolo per consegnarla a una «minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri». Ad essere messo a repentaglio è, inoltre, l'equilibrio tra i poteri costituzionali: gli organi di garanzia, infatti, finirebbero nelle mani della falsa maggioranza prodotta dal premio.
La questione della personalizzazione del referendum
«Personalizzare lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del «no» che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio». A dirlo è il premier che, a campagna avviata, cerca di rimarcare l'importanza di votare «sì», smarcandosi dalle accuse di personalizzazione della referendum. «Ma davvero vogliono mantenere tutte queste poltrone? Questo bicameralismo che non volevano nemmeno i costituenti e che furono costretti ad accettare per effetto dei veti incrociati? Questa confusione insopportabile sulla materia concorrente tra Regioni e Stato centrale?», domanda il premier. Purtroppo per lui, però, la personalizzazione è avvenuta settimane fa, ma da parte sua, quando, a reti unificate, affibbiava all'esito del referendum costituzionale anche quello della sua vita politica. Oggi il presidente del Consiglio gira l'accusa all'opposizione: sarà la paura che monta?
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