Giubileo, esperto di terrorismo: Attentato a Roma? Rischio basso ma non escludibile
Mancano poche ore all'inizio del Giubileo e sale la preoccupazione per un possibile attentato al cuore del cristianesimo. A rispondere alle domande del DiariodelWeb.it è il Professor Alessandro Marrone, responsabile di ricerca dell'Istituto Affari Internazionali
ROMA – Tra qualche ora Papa Francesco aprirà la Porta Santa di San Pietro dando così inizio al Giubileo Straordinario della Misericordia. Dopo i tragici fatti di Parigi, Roma si fa obiettivo ancora più sensibile per un possibile attacco terroristico da parte dello Stato Islamico. Quanto la nostra città è realmente esposta a questo rischio? Siamo davvero pronti ad affrontarlo? A rispondere alle nostre domande è il Professor Alessandro Marrone, responsabile di ricerca dell'Istituto Affari Internazionali.
Esiste il rischio di un attacco terroristico a Roma durante il Giubileo?
È un rischio basso ma non escludibile. Non esiste il rischio zero, non esiste più ormai da diverso tempo per le capitali europee. Roma è adesso al centro delle attenzioni con il Giubileo. Da un lato si può dire che un attacco durante il Giubileo a San Pietro o a un altro luogo di culto probabilmente sarebbe controproducente per gli stessi attuatori, perché porterebbe a una grandissima indignazione e ad una risposta psicologica e politica da parte dei Paesi europei e occidentali. Al tempo stesso, però, siccome molti possibili terroristi sono non direttamente agli ordini dello Stato Islamico, ma sono ispirati in vario modo, potrebbero semplicemente agire autonomamente e tentare un attacco terrorista.
Quanto siamo pronti ad un eventuale attentato?
Credo che le strutture di intelligence, le forze di sicurezza, il sistema di difesa civile italiano abbia lavorato molto per preparare i piani in caso di attacco, per le misure di sorveglianza e per l'intelligence. Però bisogna entrare nell'ottica che, anche se il dispositivo è pronto, è operativo, di fatto è impossibile al cento per cento prevenire un attacco in una città come Roma che sarà così, non solo densa di luoghi simbolo e quindi di obiettivi sensibili, ma anche di flusso di pellegrini e di turisti nonchché gli abitanti. Ricordo sempre che in questi casi non è solo una questione di sicurezza interna, quindi di polizia, intelligence e controllo del territorio, ma è anche un fatto di sicurezza esterna, cioè affrontare i focolai di crisi che stanno generando questa chiamata alle armi di elementi sia europei che non europei che, ad esempio, andando a combattere in Siria ricevono un addestramento militare in grado di fare degli attacchi molto articolati come quelli di Parigi.
Stiamo facendo abbastanza?
Il dispositivo di sicurezza è sicuramente al lavoro e non dagli ultimi giorni. Sono cose che si fanno di base, come il monitoraggio di elementi sospetti o come attività di intelligence: non sono attività che si improvvisano. Le istituzioni lo fanno di base, ma sicuramente negli ultimi mesi sono state ad un livello di allerta particolarmente elevato per l'avvicinarsi del Giubileo.
È possibile contrastare l'Isis in maniera diversa rispetto a come stanno facendo le forze internazionali ora?
Veramente, è possibile, perché è possibile e necessario che ci sia un confronto e un accordo tra le varie potenze regionali dell'area, quindi Turchia, Arabia Saudita, Quatar, ecc., la Russia e i Paesi Nato in modo che tutti gli attori principali contrastino effettivamente lo Stato Islamico. Se vi è una composizione di interessi per cui i Paesi che ho elencato trovano più conveniente una Siria sotto un governo internazionale, dove ogni fazione abbia un suo spazio, ecco, se questo succedesse, ci sarebbe sicuramente meno appoggio coperto o aperto, indiretto o diretto allo Stato Islamico e sicuramente lo Stato Islamico avrebbe vita breve. Finché non c'è un accordo tra le potenze regionali e le potenze mondiali su cosa fare in Siria, ecco, in una logica del tutto contro tutti, prolifera e prospera lo Stato Islamico. Il problema è primariamente politico di trovare un accordo tra le potenze regionali e non regionali.
Quanto i media influiscono sullo stato di terrore attuale? Quello che viene descritto corrisponde alla realtà?
I media e i social media – in generale tutti i meccanismi di comunicazione – influiscono molto perché di fronte ad una minaccia indistinta, imprevedibile, invisibile come quella terroristica, è molto più difficile da valutare rispetto a quella di un conflitto armato, come ci sono stati negli scorsi anni e decenni, la componente psicologica è molto maggiore, perché si parla di rischio, quindi di un elemento difficilmente quantificabile. Questa nostra società molto mediatica e con tecnologia e connessione h24 influisce sulla componente psicologica e lo fa da moltiplicatore, nel bene e nel male. C'è quindi una situazione in cui tutti noi siamo maggiormente esposti alle ondate emotive che si sviluppano nei media e nei social media, quindi non solo in quelli mediati da un'azione giornalistica, ma anche quelli spontanei frutto della nostra connessione h24.
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