21 maggio 2025
Aggiornato 16:00
In un'intercettazione lo si accosta alle sorti del presidente Usa

Mafia, Alfano nel mirino di Cosa nostra: volevano ucciderlo come Kennedy

Cosa nostra avrebbe voluto eliminare il ministro dell'Interno Angelino Alfano per il suo impegno nell'inasprimento del 41bis, il regime di carcere duro. E' quanto emerge dalle indagini che hanno portato stamani allo smantellamento dello storico mandamento di Corleone

PALERMO - Cosa nostra avrebbe voluto eliminare il ministro dell'Interno Angelino Alfano per il suo impegno nell'inasprimento del 41bis, il regime di carcere duro. E' quanto emerge dalle indagini che hanno portato stamani allo smantellamento dello storico mandamento di Corleone.

Due anime
Secondo quanto confermato dagli inquirenti, gli «eredi» dei boss Riina e Provenzano, che continuavano a portare avanti le due «anime», una «oltranzista» e l'altra «moderata», dei due storici capimafia, in un'intercettazione avrebbero fatto riferimento all'eliminazione del ministro, accostando le sue sorti a quelle di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963.

I commenti della politica
«La mafia grazie all'opera di magistratura e forze dell'ordine è stata ridimensionata, ma resta un pericolo per il Paese». Lo ha detto il ministro della giustizia, Andrea Orlando, nel corso di una intervista a Skytg24 da Bruxelles. «Adesso dopo le rivelazioni di Corleone vediamo se Salvini, il bullo del quartierino, continuera' a insultare Alfano». Lo scrive su Twitter il parlamentare Ncd, Fabrizio Cicchitto.  "L'importante operazione di questa mattina a Corleone conferma tutta la pericolosità di una mafia, solo in apparenza sommersa e silente, di cui ci ha parlato in Commissione il Procuratore Lo Voi», ha dichiarato Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia. "Al ministro Alfano - ha aggiunto Bindi - va tutta la nostra solidarietà, unita alla certezza che non verrà meno l'impegno dello Stato, profuso anche in questa rilevante indagine dall'Arma dei Carabinieri e dalla Dda di Palermo, nei confronti della criminalità organizzata»«Esprimo la mia solidarietà e la piena fiducia all'amico Angelino Alfano che, malgrado sia sottoposto quotidianamente ad attacchi volgari da chi non ha il senso delle istituzioni, sta lavorando con la massima dedizione, assumendosi tutti i rischi anche personali, per garantire la sicurezza del nostro Paese dai nemici interni, a cominciare dalla criminalità organizzata, ed esterni senza venir meno ai principi di cultura giuridica democratica e di senso dell'umanità che sono i pilastri su cui si fonda la Costituzione repubblicana». Questo il commento dell'assessore regionale siciliano alle Infrastrutture Giovanni Pistorio.

Duro colpo alla mafia
Un duro colpo alla mafia di Corleone, in provincia di Palermo, è stato inferto dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Monreale e della Compagnia di Corleone, a conclusione di  una complessa ed articolata indagine coordinata dalla Dda di Palermo. Sono 6 i fermi eseguiti dai militari, nei confronti di altrettanti boss e gregari, indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento, illecita detenzione di armi da fuoco. L'operazione, denominata «Grande Passo3», nasce dalle evoluzioni delle indagini che portarono, nel settembre 2014 e il gennaio 2015 alle operazioni «Grande Passo» e «Grande Passo 2» nei confronti delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano. Le indagini hanno permesso di individuare il capo mandamento in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, nonché di ricostruire l'assetto del mandamento mafioso di Corleone ed in particolare delle famiglie mafiose del territorio dell'Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa Entellina.

Tensioni interne
Nel corso delle indagini è stata documentata la caratura della figura di Lo Bue, capo assolutamente carismatico e fautore di una linea d'azione prudente, continuando così nella linea di comando lasciatagli da Bernardo Provenzano. Proprio questo suo modo di condurre le attività del mandamento ha creato non poche fibrillazioni in seno alla famiglia mafiosa di Corleone. In particolare, Antonino Di Marco, tratto in arresto a settembre 2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall'altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo con il quale Lo Bue gestisse gli affari del clan. Le attività hanno dunque ribadito che ancora oggi sussistono all'interno di Cosa nostra due anime contrapposte, l'una moderata storicamente patrocinata da Bernardo Provenzano e l'altra più oltranzista fedele a Salvatore Riina. Inoltre è stata nuovamente acclarata la costante e rigida applicazione di una fondamentale ed inderogabile regola di Cosa nostra, ovvero quella di garantire il sostentamento economico ai familiari degli affiliati detenuti, tra cui, in particolare, il capo indiscusso dell'associazione mafiosa, Salvatore Riina.   Nel corso delle indagini è stato anche ricostruito il progetto di uccidere una persona ancora non identificata, documentando chiaramente la disponibilità di un piccolo arsenale di armi non ancora individuato.

(Con fonte Askanews)