Il processo 'Mafia Capitale' è incostituzionale
L'Ucpi appoggia l'astensione dalla Camera Penale di Roma per 4 giorni
ROMA - «Mafia Capitale' sarà un processo incostituzionale» perché «con l'esperimento romano si cerca di rendere universale un modello di processo che 'militarizza' l'azione penale e che impone ai dibattimenti una devastante logica 'securitaria' articolata attraverso una pratica estesa ed incondizionata del 'processo a distanza'». Lo scrive in una nota l'Unione della Camere Penali che si schiera al fianco della Camera Penale di Roma nella protesta per l'organizzazione del processo su «Mafia Capitale».
La protesta dell'Unione delle Camere Penali
Nella nota, la Giunta dell'Upci appoggia l'annunciata astensione dalla Camera Penale di Roma per 4 giorni con cui «ha inteso denunciare con forza lo stravolgimento di regole processuali poste a presidio del giusto processo e delle garanzie di difesa di ogni imputato, riservandosi ogni ulteriore intervento per la tutela degli indeclinabili principi costituzionali posti a presidio del processo e della funzione difensiva. Sin dai suoi primi lampeggiamenti mediatici, con arresti in diretta e distribuizione di materiali investigativi alla Stampa, ci è sembrato evidente che 'Mafia-Capitale' non fosse un evento di cronaca giudiziaria tra i tanti, ma un processo che avrebbe segnato una svolta qualitativa nei rapporti fra Politica e Magistratura, fra Media e Procure, e che soprattutto avrebbe rappresentato un esperimento di quelle nuove forme di processo già prefigurate da alcune norme all'esame del Parlamento", sottolinea la Giunta dell'Ucpi.
Le accuse dei penalisti
Secondo i Penalisti «non può essere sottaciuto l'uso distorto del principio della 'ragionevole durata', in base al quale si impongono ritmi incongrui al dibattimento, trasformando di conseguenza l'art. 111 della Costituzione, da strumento di garanzia per l'imputato, in un improprio strumento di limitazione dei suoi diritti e di violazione del giusto processo. Né può, infine, tacersi, in tale contesto, degli attacchi subiti dall'avvocatura romana da parte di chi, mistificando le ragioni della protesta, ha ritenuto di assimilare impropriamente l'avvocato con il proprio assistito e la difesa dei diritti con la difesa dei reati, dimostrando con inammissibili offese la sua insofferenza per la funzione difensiva e la incapacità di cogliere il significato più alto delle battaglie dell'avvocatura penale, coltivate in uno spirito di assoluta indipendenza e condotte ad esclusiva difesa di valori che tutelano l'intera collettività e che sono patrimonio intangibile e condiviso di ogni società civile».Per i penalisti italiani «con 'Mafia Capitale' si voleva forzare la mano ai ritardi ed ai tentennamenti con i quali il Legislatore rispondeva alla richiesta di equiparare i reati contro la Pubblica Amministrazione ai reati di mafia con conseguente adozione di tutti gli strumenti giudiziari, processuali, investigativi e di prevenzione previsti dalla legislazione speciale, facendo sì che i fatti corruttivi venissero interpretati tutti in chiave mafiosa. Con l'esperimento romano si cerca, dunque, di rendere universale un modello di processo che "militarizza" l'azione penale e che impone ai dibattimenti una devastante logica 'securitaria', articolata attraverso una pratica estesa ed incondizionata del 'processo a distanza', priva di effettive ragioni o, peggio, fondata su ragioni ed esigenze suscettibili di ben più ragionevole risposta, il che finisce con il trasformare il processo penale in un penoso simulacro", conclude la nota. (Fonte Askanews)
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