19 aprile 2024
Aggiornato 09:30
M5S: «Ricatto sulle riforme»

Offese alla Kyenge, Calderoli a processo per diffamazione

Per le dichiarazioni oltraggiose rivolte dal parlamentare leghista nei confronti dell'allora Ministro, in occasione di un comizio a Treviglio. L'aula ha invece respinto l'autorizzazione per l'ipotesi di reato di istigazione all'odio razziale, invocando l'insindacabilità delle dichiarazioni di Calderoli in quanto opinioni espresse da un parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni.

ROMA - L'assemblea del Senato ha votato a favore dell'autorizzazione a procedere nei confronti del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, per diffamazione, in ordine alla vicenda delle dichiarazioni oltraggiose rivolte dal parlamentare leghista nei confronti dell'allora ministro Cecile Kyenge, in occasione di un comizio a Treviglio lo scorso 13 luglio 2013. L'aula di Palazzo Madama ha invece respinto l'autorizzazione per l'ipotesi di reato di istigazione all'odio razziale, invocando l'insindacabilità delle dichiarazioni di Calderoli in quanto opinioni espresse da un parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni.

Il prossimo ottobre dunque il tribunale di Bergamo - dove nel frattempo «inspiegabilmente», come ha rimarcato lo stesso Calderoli, il procedimento è proseguito anche nel periodo in cui la questione era all'esame della giunta per le immunità di Palazzo Madama - dovrà esprimersi solo sotto il profilo della diffamazione. E questo nonostante il fatto - sono state ancora le parole di Calderoli - che dopo le pubbliche e reiterate scuse rivolte dal ministro, che «nei fatti ha dimostrato di averle accettate», ed anche un bel po' di settimane «in panchina» nel ruolo di vicepresidente del Senato in via disciplinare, la stessa Kyenge «non abbia mai sporto querela per diffamazione nei miei confronti».

L'aula del Senato è stata animata anche da polemiche politiche, sollevate dalla richiesta del capogruppo Pd, Luigi Zanda, che ha chiesto il rinvio dell'esame e del voto per consentire ai senatori di approfondire la vicenda anche alla luce della richiesta, formulata dal relatore della giunta, Lucio Malan (Fi), di procedere alla votazione per parti separata (per diffamazione e per istigazione all'odio razziale). Tutto questo nonostante la stessa giunta avesse deliberato con voto a maggioranza, e quindi dello stesso Pd, la insindacabilità per il complesso delle imputazioni.

M5S: Ricatto sulle riforme
Immediata la reazione del Movimento 5 Stelle, che per voce del senatore Vito Crimi ha parlato di «un vero e proprio ricatto» da parte di Zanda e del Pd nei confronti della Lega Nord e di Calderoli, «che guarda caso è il firmatario dei 500 mila emendamenti alla riforma» costituzionale. Quasi a dire, ha suggerito ancora lo stesso Crimi, che «se vuoi che ti votiamo l'insidacabilità ritira i tuoi emendamenti».
La capogruppo Sel, Loredana De Petris, ha suggerito «visto il momento politicamente così delicato, per il bene e nell'interesse di tutti, evitare ogni forma di indebita pressione». Per Forza Italia, escluse «pratiche coartive» da parte di Zanda escludere il rinvio avrebbe eliminato «anche il sospetto che ci possano essere pressioni indebite». Sulla stessa linea anche Ncd, Gal, Psi. Respinta quindi la richiesta, reiterata al termine del dibattito dallo stesso Zanda, di rinvio, si è proceduto con il voto.

Nel corso del suo intervento in aula, Calderoli ha ribadito le scuse
«Subito dopo mi sarei tagliato la lingua - ha detto -. Nel corso del comizio ho sbagliato ed ho profferito una battutaccia estremamente infelice, che solo dopo ho compreso poter essere offensiva, ma vi giuro sul mio onore che in quel momento la mia volontà era solo quella di fare una battuta», dopo la quale «ho contattato telefonicamente il ministro» per le spiegazioni e per formulare «le mie scuse immediatamente accettte dall'interessata. Scuse fatte anche pubblicamente non solo al ministro, ma anche al presidente del Senato e ai colleghi».

(con fonte Askanews)