18 agosto 2025
Aggiornato 03:00
Pioggia di emendamenti sulla riforma

Busin: le banche popolari fuzionano. Renzi pensa ad altro

Via libera, in queste ore, alla discussione dei circa 700 emendamenti proposti per attenuare l'effetto della riforma sulle banche popolari. Filippo Busin (LN) si dice critico sulla forma (decreto) e sulla sostanza della riforma, che, sostiene, smantellerà la missione di sostegno e vicinanza al territorio delle banche popolari, e aprirà la strada a speculazioni e fondi di investimento stranieri.

ROMA – Giornata cruciale per il decreto banche popolari. La pioggia di emendamenti – circa 700 – che le opposizioni hanno riversato sul tanto discusso provvedimento del Governo viene infatti valutata in Commissione Finanze a partire proprio da queste ore. L'obiettivo è quello di ridurre l'impatto della riforma, o quantomeno fornire alle banche popolari degli strumenti, almeno temporanei, anti-scalata. Tra gli emendamenti, figurano anche delle misure più radicali, che però difficilmente passeranno, vista la volontà del governo e della Banca d'Italia di non snaturare gli obiettivi e l'impianto della riforma. Riforma su cui, dichiara al DiariodelWeb il deputato e membro della Commissione Finanze della Lega Filippo Busin, «siamo fortemente critici. In primis, sul modo in cui è stata fatta; inoltre siamo perplessi sui contenuti e sugli effetti che potrà avere».

BUSIN: +15% DEI PRESTITI NEL 2011 PROPRIO DALLE BANCHE POPOLARI - «Sono 150 anni che abbiamo banche popolari», spiega Busin, «e con un decreto si vuole alterare questo settore. Come minimo, bisognava usare un altro strumento – il disegno di legge – e lasciare spazio al contributo del Parlamento», dichiara. I presupposti di urgenza non si vedono: primo, parliamo di istituti con 150 anni di vita; secondo», prosegue il deputato, «sono stati lasciati 18 mesi di tempo per adeguarsi al decreto, e quindi dov’è l’urgenza?», si chiede. Busin, però, è critico anche sui contenuti della riforma: «tutto quello che ci ha detto il Governo non ci ha convinti. Parlavano di sofferenze bancarie degli istituti popolari maggiori rispetto alle altre, ma a noi risulta che le banche popolari abbiano superato tutti gli stress test imposti dalla Bce, anche i più impegnativi, a differenza di altre banche che hanno sofferto, e non sono banche popolari – si veda il caso di Mps –», sottolinea il deputato. «Soprattutto in un momento in cui manca il credito per le famiglie e le imprese, le banche popolari nel 2011 hanno aumentato del 15% i loro prestiti alle piccole imprese e ai privati, quando invece il sistema bancario è calato di un 11% per l’spa e di un 4% per gli istituti di credito cooperativo. Quindi, anche l'argomento sollevato dal Governo, secondo il quale le banche popolari avrebbero perso la loro missione di vicinanza e sostegno al territorio, cade quando si guardano questi numeri. Anzi», puntualizza Busin, «le banche popolari nel panorama creditizio sono gli unici istituti ad essere andati in controtendenza».

PREOCCUPATO PER POSSIBILI SPECULAZIONI - Oltre ad essere critico, Busin si è detto anche molto preoccupato sugli effetti che il provvedimento avrà: «Nel momento in cui li trasformi in spa, per facilitare operazioni di straordinaria amministrazione che possono essere vendite o fusioni, chi sarà pronto a fare questo tipo di operazioni? Noi pensiamo soprattutto banche estere – vista la situazione di quelle nazionali –, fondi di investimento esteri, e ci saranno magari speculazioni su questo patrimonio dei risparmiatori e delle aziende italiani. Vedremo insomma i nostri soldi nelle mani di decisori slegati dalle logiche dell’economia locale. Faranno i loro interessi fino in fondo, ed è un grave rischio per i benefici che le banche popolari hanno portato sul nostro territorio». Insomma, Busin si dice, «oltre che critico, fortemente preoccupato».

GOVERNO: VIA IL VOTO CAPITARIO, SI’ ALLA CAPITALIZZAZIONE - Senza dubbio, vista la delicatezza della questione, il processo di scrematura e verifica degli emendamenti sarà lungo e faticoso. I sostenitori della riforma ritengono che questa avrebbe il merito di non permettere più ai «signorotti locali» di gestire le Popolari indipendentemente dalle diverse quote azionarie. La ratio del provvedimento risponde alla necessità che, di fronte al rischio di improvviso deterioramento dei loro bilanci, gli intermediari bancari siano in grado di reperire rapidamente capitali freschi per evitare che i coefficienti di patrimonializzazione usati per valutare l’affidabilità di una banca finiscano sotto i livelli di soglia. La regola del voto capitario (una persona un voto) sarebbe a questo proposito d’impaccio perché rende quest’operazione più difficile. E il motivo è che la propensione ad acquisire quote di capitale di una società dipenderebbe dalla possibilità di controllare tale società. Le banche a voto capitario come le popolari sarebbero scarsamente contendibili proprio a causa del voto capitario che elimina la proporzionalità tra entità dell’impegno di un soggetto nella capitalizzazione della banca e quota di voti posseduta.

700 EMENDAMENTI PRESENTATI - In ogni caso, gli emendamenti presentati cercano di ridurre, per quanto possibile, l’impatto della riforma, che, per i suoi detrattori, snaturerebbe del tutto il concetto di banca popolare attraverso la loro capitalizzazione. La prima questione in discussione riguarda proprio il perimetro delle banche popolari investite dalla riforma, e cioè la soglia degli 8 miliardi di attivo al di là della quale scatta l’obbligo di trasformazione in spa entro 18 mesi.  Secondo il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, la soglia dimensionale degli 8 miliardi di euro  «appare ragionevole» e ha il pregio di distinguere nettamente tra le dieci Popolari più grandi che sono ormai assimilabili alle grandi banche commerciali e le altre 27 che sono rimaste più legate al territorio d’origine e allo spirito cooperativistico.L’Assopopolari, invece, ha obiettato che la soglia andrebbe alzata a 30 miliardi per far rientrare nella riforma solo le sette banche popolari sottoposte alla diretta supervigilanza della Bce. L’Antitrust ha suggerito infine di applicare la riforma alle sole Popolari  quotate in Borsa e cioè l’Ubi, il Banco Popolare, la Bper, la Bpm, il Credito Valtellinese, la Popolare di Sondrio e l’Etruria. Altre proposte emendative riguardano le modalità applicative della riforma: dal tetto al possesso azionario, ai limiti al diritto di voto, al voto multiplo e alle maggiorazioni al diritto di voto per i soci di lunga data. Eppure, Banca d’Italia ha già fatto sapere che «limiti al possesso azionario, finora una delle principali debolezze della governance delle Popolari, appaiono sostanzialmente contrari alla finalità della riforma». Insomma, la discussione si preannuncia lunga e faticosa, visto il numero e la portata degli emendamenti e gli interessi in gioco. Che le opposizioni sospettano connessi anche all’ormai famoso caso della «boschiana» Banca Etruria.