Innovazione: Brunetta e Madia si somigliano
Forza Italia e Governo ai ferri corti sulle riforme. La sfida è tutta in politichese e prevede tranelli e colpi bassi. Tutto purché l’economia reale resti fuori dal dibattito anche se con l’agroalimentare e con il vino sta ottenendo record in tutto il mondo
Fra Forza Italia e Matteo Renzi è scattata una guerra di logoramento che più che ad una disputa politica somiglia al gioco delle tre carte, tutti gli attori sembrano infatti muoversi con l’unico scopo di mollare una fregatura all’avversario. E’ l’unica incertezza è chi, a furia di colpi di bassi e di trabocchetti parlamentari, alla fine resterà con il cerino in mano.
L’ultima carta giocata da Forza Italia per mettere con le spalle al muro Renzi riguarda i tempi per approvare la legge elettorale. E’ la prima cosa da fare, secondo Renato Brunetta e si può portare a casa in tempi brevi. «Non possiamo, c’è Pasqua di mezzo», è stata la labile scusa per allungare il brodo a cui è ricorsa la giovane ministra per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ed è inutile riportare le ironie stizzite di Brunetta che si è tirata addosso con questo richiamo all’impedimento Pasquale.
Il punto nella sostanza è questo: Renzi teme che una volta ottenuto il via libera dell’Italicum, Berlusconi lo usi come arma di ricatto, potendo mettere in campo lo spauracchio delle elezioni anticipate, con tanti saluti per la riforma del Senato, che ha già detto che non gli va giù, articolo quinto e via dicendo.
Ecco perché il premier con l’Italicum sta facendo come Penelope con la tela: il giorno la tesse e la notte la disfa.
Come andrà a finire questo giochetto lo sapremo nei prossimi giorni, soprattutto dopo che Berlusconi saprà quale sorte gli toccherà il 10 aprile con l’esecuzione della sua condanna per evasione fiscale.
Quello che è doveroso aggiungere è che questo quadro politico è distante anni luce dalla situazione del Paese, dai problemi dei cittadini, dall’economia reale.
Tanto distante che il teatrino della politica, come lo chiamava una volta Berlusconi, resta sordo e cieco anche davanti a quei successi che l’azienda Italia riesce ancora a mietere all’estero, nonostante tutto.
L’esempio più eclatante sono i risultati che in questi giorni emergono dal «Vinitaly» che si sta svolgendo a Verona, da dove arrivano molte conferme, alcune fortunatamente positive, altre agrodolci: del tipo «ma guarda come siamo bravi, e quanto potremmo fare di più se solo fossimo meglio organizzati».
Cominciamo dalle notizie positive; il vino Italiano sta letteralmente sbancando nel mondo, con una crescita esponenziali in Paesi come gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito, la Russia. Ma poi c'è tutta l'Asia che non aspetta che di essere conquistata.
In cifre: siamo il paese che esporta più vino al mondo, con un fatturato annuo che supera i 5 miliardi di euro su i 12 miliardi complessivamente prodotti.
Insomma nel «made in Italy» il vino è il prodotto che va meglio.
Veniamo all'agrodolce: volete sapere fra i bravissimi artefici del miracolo viticolo italiano quale è la percentuale dei proprietari di aziende che hanno meno di 40 anni? Appena il 5-6 per cento.
Insomma abbiamo il 42 per cento dei giovani che vagolano per l'Italia in cerca di un lavoro che non trovano, ma i nostri ragazzi poco o nulla sanno del settore che sta tirando di più, della sua cultura, dell'industria e dell'economia che c'è dietro.
C'è un nuovo governo guidato da un giovane, con una giovane ministra, si chiama Maria Elena Boschi, tacco 25 alla Santanchè, che dice che molti dei ritardi che ammorbano l’Italia dipendono dai professori, i «sapientoni»che si sono sempre opposti al cambiamento.
Fa bene la signorina ministro a denunciare i danni prodotti dai dinosauri del passato, ma dove sta il cambio di passo?
Di fronte al successo dell’agroalimentare italiano e in particolare del vino, sarebbe stato lecito aspettarsi una pronta reazione, un immediato richiamo all’indirizzo di chi è in cerca di un futuro. Parallelamente avremmo visto positivamente il coordinamento immediato fra i ministeri dell'istruzione, ricerca e università, e quelli dell'economia, per dare il via a scuole di formazione, master, lauree specialistiche al fine di spingere i giovani verso quei settori del made in Italy con maggiori possibilità di sviluppo.
Si è fatto? Si sta facendo? Non risulta. In quanto a incapacità di trovare soluzioni innovative, i «giovani» al governo non sembrano diversi dagli «anziani» che li hanno preceduti.
Al Politecnico di Torino, tanto per fare un esempio, si sono inventati dei sensori che applicati alla vite sono in grado di monitorare la salute delle piante minuto per minuto, con un risparmio di due terzi sui costi dei filari gestiti tradizionalmente. E’ il tipico caso di quanto le nuove tecnologie possono cambiare in meglio l'organizzazione e quindi l'economia di un paese.
Ne sanno qualcosa i nostri giovani ministri? O forse non è un caso che la parola «informatica» sia praticamente assente dai proclami giornalieri del governo riguardo il futuro de lavoro in Italia?
E’ molto probabile che non sia un caso. Tanto è vero che la ministra Marianna Madia non si è nemmeno accorta che il ministero che dirige non si chiama più della «pubblica amministrazione e dell'innovazione»: l'innovazione infatti è stata fatta sparire. Cioè è stata fatta sparire l’unica fonte da dove può venire nuova occupazione, occupazione vera, e non assistita.
Quale è la conclusione? Che la deliziosa Madia e l’urticante Brunetta riguardo l’innovazione si somigliano come due gocce d’acqua.
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