19 aprile 2024
Aggiornato 07:00
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Ruby, Consulta: Immunità costituzionali non sono privilegi

Depositate le motivazioni della Sentenza con la quale la Corte costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato sollevato dalla Camera per le decisioni del pm e del gip di Milano: La carica ricoperta non comporta deroga a principio d'uguaglianza

ROMA - E' l'articolo 3 della Costituzione, primo comma («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...«), il fondamento della sentenza con la quale il 14 febbraio scorso la Corte costituzionale ha respinto il conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato sollevato dalla Camera per le decisioni del pm e del gip di Milano, rispettivamente di chiedere il rinvio a giudizio e di decidere il processo con rito immediato contro Silvio Berlusconi, imputato di concussione oltre che di prostituzione minorile in relazione al caso Ruby.

Carica ricoperta non comporta deroga a principio d'uguaglianza - «Questa Corte - si legge nelle motivazioni della decisione della Consulta (presidente Alfonso Quaranta, giudice redattore Giuseppe Tesauro) - è sempre stata costante nell'escludere che le immunità costituzionali possano trasmodare in privilegi, come accadrebbe se una deroga al principio di uguaglianza innanzi alla legge potesse venire indotta direttamente dalla carica ricoperta, anziché dalle funzioni inerenti alla stessa».
Nel negare la pretesa della Camera secondo la quale qualunque reato che riguardi il presidente del Consiglio o i ministri debba essere deferito al Tribunale dei ministri e determinare di conseguenza l'attivazione di una procedura diversa che preveda contestualmente l'informazione della Camera di competenza e il suo potere di intervento attraverso il rifiuto dell'autorizzazione a procedere, la Consulta ha argomentato che «non vi è dubbio che la Costituzione abbia inteso riconoscere al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai ministri stessi una forma di immunità in senso lato, consentendo alla Camera competente di inibire l'esercizio della giurisdizione in presenza degli interessi indicati dall'articolo 9, comma 3, della legge costituzionale n. 1 del 1989, e dando vita ad uno speciale procedimento che si innesta nell'ambito delle peraltro persistenti attribuzioni dell'autorità giudiziaria. Ma l'unica lettura di questa garanzia compatibile con le premesse appena svolte consiste nel limitarne l'area al campo dei soli reati commessi nell'esercizio delle funzioni».
«Le immunità riconosciute ai pubblici poteri, infatti, introducendo una deroga eccezionale al generale principio di uguaglianza, non possono che originarsi - scrivono i giudici delle leggi - dalla Costituzione (sentenza n. 262 del 2009) e, una volta riscontrata tale derivazione, sono comunque soggette a stretta interpretazione. Troppo significativo, infatti, nel processo di formazione dello Stato di diritto, è stato il vincolo progressivo di soggezione dell'azione degli organi dello Stato al principio di legalità e dunque di piena sottoposizione al diritto, perché esso possa venire oggi anche solo in parte affievolito, per effetto di interpretazioni evolutive, che vadano nella direzione dell'ampliamento dell'area delle immunità costituzionali, oltre le previsioni della Costituzione».