20 aprile 2024
Aggiornato 10:30
Caso Cucchi

Stefano Cucchi «rianimato» 3 ore dopo la morte

Le conclusioni della Commissione parlamentare. La morte per blocco renale e disidratazione, non a causa traumi

ROMA - Stefano Cucchi stava protestando, sciopero della fame e della sete e voleva il suo avvocato, e così per ottenere un suo diritto il detenuto nel reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini, ha iniziato a rifiutare cibi e bevande. Per questo è morto: blocco renale e disidratazione, non per i traumi subiti, ma perchè nessuno è intervenuto, nessuno gli ha fatto incontrare il suo avvocato, nessuno lo ha assistito prima che morisse disidratato, di sete. Anzi, i medici hanno fatto la rianimazione due o tre ore dopo il decesso, e qualsiasi medico l'abbia fatta ormai «sapeva che il paziente era morto da tempo».

Sono le conclusioni a cui è arrivata la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia del servizio sanitario nazionale approvato all'unanimità, sulla morte del geometra 31enne, avvenuta il 22 ottobre 2009 nel reparto protetto del Pertini, una settimana dopo il suo arrestato per detenzione di stupefacenti.

LA RELAZIONE - Stefano è morto alle tre di quella notte «per arresto cardiorespiratorio come evento finale di un grave squilibrio idroelettrolitico», si legge nella relazione finale della Commissione. Gli stessi consulenti tecnici «ritengono si possa escludere, senza incertezza, che il decesso si debba alle conseguenza del trauma subito».
I traumi ci sono ma la causa della morte è quello sciopero della fame e della sete: «Un'opposizione alla somministrazione di cure e cibo che non è intesa a non curarsi, ma è strumentale ad ottenere contatti con l'avvocato di fiducia», chiarisce la commissione. A causa della mancanza di cibo e liquidi Cucchi «subisce un drastico dimagrimento»: dieci chili in meno, da 52 chili al momento dell'arresto ai 42 chili al momento della morte. Eppure sembra che nessun medico, nemmeno il giorno prima del decesso, si accorga di quanto Stefano stia male.
E la commissione chiede quindi che l'indagine penale, unica competente ad accertare chi siano gli autori delle percosse, chiarisca anche le responsabilità per quel colloquio con l'avvocato mai avvenuto.