25 aprile 2024
Aggiornato 12:30
Entra nel vivo il delicato congresso annuale del Partito laburista britannico

A Manchester il Labour decide il suo futuro

Il congresso lancia la corsa alle elezioni del 2010

Entra nel vivo il delicato congresso annuale del Partito laburista britannico. Nel cuore dell’Inghilterra, a Manchester si decide infatti la strategia con la quale il Labour intende affrontare l’anno e mezzo che separa la Gran Bretagna dalle elezioni politiche. Strategia sulla quale pesano, inevitabilmente, i tanti sondaggi – l’ultimo pubblicato ieri dal «Telegraph» – che danno i conservatori di David Cameron saldamente in testa e pronti a guastare la festa dei progressisti che, vincendo nel 2010, raggiungerebbero lo straordinario traguardo dei quattro mandati consecutivi.

Un congresso molto delicato, che culminerà con l’intervento del premier Gordon Brown, previsto per martedì 23 settembre. E proprio attorno alla figura del primo ministro ruota gran parte della discussione interna al partito. L’ex cancelliere dello Scacchiere (il ministro delle Finanze britannico) è infatti considerato da una parte della base di essere il responsabile principale del dissipamento del consenso elettorale con il quale Tony Blair gli aveva consegnato la guida del Regno Unito. E i sondaggi, che oggi parlano in un Labour sconfitto in quasi tutti i collegi del Paese, salvo alcune roccaforti nello Yorkshire, in Galles e in Scozia, lo dimostrerebbero.

I primi giorni di congresso (in corso di svolgimento al ‘Manchester Central’ dal 20 al 24 settembre) stanno però mettendo in luce una sorta di tregua forzata all’interno del partito, con la fronda anti-Brown che avrebbe quindi intrapreso la strada del ‘low profile’. L’impressione è che il partito voglia fare quadrato intorno al premier e che quindi difficilmente il congresso culminerà con la richiesta a Gordon Brown di farsi da parte prima delle elezioni. Lo stesso Brown, d’altronde, alla vigilia aveva lanciato la sua sfida: «Non è questo il momento di perdere coraggio, possiamo superare questo momento difficile. Lamentarsi è normale in politica, io continuo con il lavoro di governo».

A testimonianza dell’effettiva volontà di mettere da parte, per il momento, ogni velleità di «assalto alla leadership» sono arrivate le parole del ministro degli Esteri David Miliband, che nelle scorse settimane, con un articolo sul The Guardian in cui parlava di un cambio di rotta, aveva spianato la strada alle speculazioni su un avvicendamento a Downing Street. In un’intervista sul The Daily Mirror, il giovane titolare del Foreign Office ha invece rinnovato la fiducia in Brown. «E’ il momento in cui il partito deve mostrarsi unito. L’ho detto chiaro e tondo: non penso che sia questo il momento per l’elezione di un nuovo leader».

Miliband ha poi usato parole dure nei confronti del leader del tories David Cameron: «E’ un uomo dalle vacue promesse». Parole di elogio sono state usate invece proprio per Brown e il ministro delle Finanze Darling. «Ci sono Gordon e Alistair che un anno fa hanno gestito la crisi della Northern Rock e non un solo correntista ha perso soldi. Poi ci sono David Cameron e George Osbourne (ministro dell’Economia del governo ombra) che si sono opposti al salvataggio della banca e non hanno la minima idea di come affrontare la crisi attuale». A serrare le fila nel Labour, oltre a Miliband e al ministro della Sanità Alan Johnson, sono anche dei big storici, come l’ex vicepremier John Prescott, Alastair Campbell e l’europarlamentare Glenys Kinnock, moglie dell’ex leader laburista Neil Kinnock.

Al di là di quale sarà l’esito del congresso, per il Labour si apre una fase molto delicata da gestire. Il periodo è tempestoso. Oltre ai sondaggi e alla recenti debacle elettorali, come successo alle ultime amministrative, c’è un partito in confusione che cerca di ricompattarsi per affrontare la corsa alle legislative del 2010. Nel frattempo, il ministro della Scozia David Cairns si è dimesso ed altri sottosegretari potrebbero annunciare l’abbandono dell’incarico in questi giorni. Insomma, il rischio è che, se la Conferenza dello scorso anno di Bournemouth rappresentava l’occasione per mettere a punto la strategia politica e incassare uno storico quarto successo dei laburisti, il congresso di quest’anno rischia di sancire l’inizio di una nuova era tory.

Ad essere messa in discussione è la stessa fora dell’idea del New Labour. Idea con la quale nel decennio 1997-2007 Tony Blair ha cambiato il volto della Gran Bretagna, traghettando il partito e il Paese attraverso un vero e proprio boom economico: il contenimento della spesa pubblica, la crescita del Pil, il basso tasso di inflazione e il limitato livello di disoccupazione hanno fatto del Regno unito (alias «Cool Britannia») una delle più forti economie mondiali. Un’economia che fa però della giustizia sociale un faro da seguire, che trasformi in realtà l’idea di «socialdemocrazia liberale» teorizzata da Anthony Giddens come «la terza via» del New Labour.

Con il nuovo secolo, la guerra in Iraq, la stretta alleanza con gli Stati Uniti di George W. Bush, mineranno l’idillio tra Blair e l’elettorato britannico. Ciò non gli impedirà di essere rieletto e di passare il testimone al Cancelliere dello Scacchiere, da sempre fedele alle politiche economiche e sociali portate avanti da premier. Rimasto per anni nell’ombra, Gordon Brown mostra da subito gran carattere e annuncia un cambio di rotta soprattutto per quanto riguarda le politiche internazionali, iniziando presto un primo disimpegno delle truppe britanniche in Iraq. Promette di mettere l’interesse nazionale in cima alla proprie priorità e per mesi inanella un successo dietro l’altro, nonostante la dura crisi della Northern Rock.

A pesare sul crollo nei consensi elettorali è stato per certo la mossa più politicamente controversa intrapresa da Brown: il dietrofront sulle elezioni anticipate. Una mossa giudicata da molti suoi detrattori come codarda, e da altri suoi sostenitori come poco strategica, alla luce delle ottime performance nei primi sondaggi. I continui tentativi di Brown, inoltre, di mediare tra le ali più moderate e quelle più radicali del partito hanno finito per confinarlo nel ruolo di perenne indeciso. A pesare, infine, sulla fiducia nel governo da parte dei cittadini, lo scenario economico con le previsioni di recessione e i dati sulla disoccupazione, in netto aumento.

E' presente a Manchester una delegazione del Partito Democratico, formata dal responsabile Relazioni internazionali Lapo Pistelli e dal coordinatore internazionale Luciano Vecchi.

Stefano Cagelli