Piero Fassino: «Roma sottovaluta il rischio Caucaso»
Intervista di Umberto De Giovannangeli - L'Unità
Piero Fassino, ministro degli Esteri del «governo ombra» del Pd, qual è la reale posta in gioco nel conflitto tra la Russia e la Georgia?
«Si sbaglierebbe a ridurlo a un «conflitto locale». Non solo perché nell’epoca della globalizzazione, più nessuna guerra può essere definita «locale». Ma anche perché il Caucaso è un’area strategica per la sicurezza e la stabilità del mondo intero. Il Caucaso è una di quelle aree cruciali che i politologi definiscono di «cerniera», dove si incontrano mondi molto diversi».
«Europa ed Asia, tra Est ed Ovest, Cristianità e Islam. È una regione caratterizzata dalla compresenza di gruppi etnici, nazionali e religiosi diversi ed è attraversata dagli oleodotti e dai gasdotti che portano l’energia in Occidente. Intorno al Caucaso, stanno Paesi che si chiamano Afghanistan, Iran, Iraq, Turchia; poco distante c’è il Medio Oriente, e sopra la Russia. Tutto questo ci dice che è un’area particolarmente cruciale, critica, e che la stabilità e la sicurezza di quest’area è interesse non soltanto, come è ovvio che sia, dei popoli e delle nazioni che vivono lì, ma in realtà la sicurezza e la stabilità del Caucaso è interesse più generale perché investe la sicurezza e la stabilità del mondo. Per questo è necessario avere una strategia efficace che, per rivelarsi tale, deve fare i conti con almeno tre contraddizioni che ci vengono dalla storia...».
Quali sono queste contraddizioni?
«La prima, affonda le radici in una storia molto lontana, e cioè la decisione di Stalin di «russificare» il Caucaso, inserendo forti comunità russe in quella regione; comunità che fino a quando esisteva l’Unione Sovietica erano parte della maggioranza, russa, della popolazione dell’Urss. E oggi invece sono minoranze, spesso non riconosciute o comunque sopportate.
Il secondo problema da affrontare è il modo caotico, convulso con cui si dissolse l’Unione Sovietica nel 1991. In quella stagione così drammatica, Armenia, Georgia, Azerbaijan si proclamarono indipendenti con un atto sostanzialmente unilaterale, senza alcun negoziato che definisse le relazioni tra Mosca e i nuovi Stati. Terza contraddizione che ci portiamo dietro è quella che viene dalla tragedia dei Balcani, dove la dissoluzione della Jugoslavia ha lasciato campo alla nascita di nuove nazioni fondate sul principio dell’omogeneità etnica; un principio che fino a quel momento non era stato mai assunto e che, se riproposto ogni volta che c’è un conflitto, rischia di innescare un gioco del domino al termine del quale ben pochi degli Stati attualmente esistenti nel mondo sopravvivrebbero».
Come affrontare e provare a risolverle queste contraddizioni?
«Nell’immediato, è evidente che dobbiamo preoccuparci di consolidare la tregua, ottenendo che l’esercito russi ritorni sulle posizioni antecedenti alla guerra e che da parte georgiana non si compia nessun nuovo atto di ostilità verso l’Ossezia e l’Abkhazia. In queste ore è urgente anche far affluire gli aiuti umanitari necessari alla popolazione. E poi bisogna lavorare da subito per trasformare la tregua in una pace vera tra Georgia e Russia, sulla base dei sei punti della piattaforma proposta dalla presidenza francese dell’Unione Europea. In particolare, riaffermando la sovranità della Georgia e al tempo stesso individuando forme di autonomia amministrativa per le aree russofone.
Ma attenzione: consolidare la pace sollecita a definire un assetto condiviso e riconosciuto per tutto il Caucaso, dando corso, come ha proposto il Parlamento europeo, ad una Conferenza regionale per la stabilità che, con l’assistenza dell’Onu, dell’Osce e dell’Unione Europea, coinvolga tutti gli Stati della regione».
Da Tbilisi, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato: «La Georgia sarà membro della Nato, se lo vuole, ed è questo ciò che vuole». Ma è questa la strada da seguire?
«Quando ero al governo tra il ‘96 e il ‘98, mi sono occupato a lungo dell’allargamento della Nato, che ebbe la sua prima, importante concretizzazione nel giugno ‘98. Questo tema, estremamente delicato, può avere una doppia lettura...».
Quale?
«Una è concepire l’allargamento come strategia di accerchiamento e contenimento della Russia. Una impostazione che non garantisce stabilità, sicurezza e pace in Europa, perché è evidente che la Russia, come qualsiasi altro Paese che si trovasse di fronte all’eventualità di un accerchiamento, non lo accetterebbe e reagirebbe. L’altra interpretazione possibile è quella che io ritengo più corretta e che va perseguita: la Nato fino al 1989, era l’organizzazione militare e di sicurezza di una parte dell’Europa contro i rischi che potevano derivare dall’»altra Europa». Ma caduto il Muro di Berlino e allargatasi ai Paesi dell’Est, la Nato ha cambiato configurazione, e da organizzazione di una parte dell’Europa deve diventare sempre di più l’organizzazione di sicurezza e di difesa dell’Europa intera.
Il che significa che ogni allargamento a nuovi membri, va fatto accompagnandolo contemporaneamente da una evoluzione in positivo dei rapporti tra la Nato e la Russia. In questa strategia, decisivo è il ruolo dell’Unione Europea. Proprio l’esperienza degli anni scorsi, ci dice che l’allargamento della Nato è stato meno traumatico perché, parallelamente, accompagnato dall’allargamento dell’Ue.
Anche oggi è utile mantenere questa bussola: l’inclusione nell’Unione Europea dei Paesi balcanici può portare a compimento la stabilità di quella regione. E anche per il Caucaso, l’intensificazione dei rapporti tra l’Ue e quelle nazioni, e il contemporaneo rafforzamento dei rapporti tra Bruxelles e Mosca, può rendere più accettabile per la Russia che la Nato si estenda fino ai suoi confini. Se questo deve essere l’impianto, certamente non ha aiutato il modo in cui si è mosso il presidente georgiano Saakashvili, perchè ha dato dell’allargamento della Nato l’interpretazione più conflittuale possibile».
Da queste considerazioni, oltre che da una qualsiasi iniziativa diplomatica, il governo italiano sembra avulso.
«In queste settimane di guerra. ho evitato qualsiasi polemica verso il governo e ho più volte espresso la posizione del Partito Democratico con uno spirito costruttivo che concorresse a sollecitare un ruolo positivo dell’Italia. Sono convinto che sia stato giusto tenere questa linea perché di fronte a migliaia di morti, una grande forza anche di opposizione non deve immeschinire la propria politica e deve misurarsi con la drammaticità di un conflitto e concorrere a fermare le armi e ricercare una soluzione di pace.
Adesso però che la criticità dei giorni scorsi sembra essere passata, credo si debba esprimere un giudizio severo nei confronti del governo italiano.
Intanto, è ridicola la campagna propagandistica che vuol fa credere agli italiani che Berlusconi, con qualche telefonata dalla sua villa in Sardegna, abbia giocato un qualche ruolo. Un ruolo l’hanno giocato e bene Sarkozy e Kouchner a nome dell’Ue; un contributo vero l’hanno dato altre capitali influenti, a partire da Berlino, certamente è stato un attore, quale che sia la valutazione che si vuole dare delle sue scelte Washington, ma, al di là dell’impegno personale di Frattini, non mi pare che Roma abbia svolto alcun particolare ruolo. In ogni caso non l’ha giocato Berlusconi.
L’idea che si possa fare la politica estera con qualche telefonata e sulla base dell’amicizia personale, è francamente strampalata. Non credo che Putin assuma una posizione piuttosto che un’altra sulla base di chi gli telefona o di una barzelletta o una pacca sulle spalle...
La politica estera la si fa sulla base di una valutazione razionale dei rapporti di forza, degli interessi in gioco, degli obiettivi che ogni Paese si pone. Su queste basi, ritengo che il ministro Frattini, che pure è stato in contatto con tutte le capitali europee e la presidenza francese, abbia compiuto un errore a non andare alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue. Questa assenza ha trasmesso l’idea di una sottovalutazione e di un minore impegno italiano, che non è utile al nostro Paese e non è giusto. Anche perché, invece, l’Italia può giocare un ruolo attivo.
Storicamente il nostro Paese ha sempre avuto rapporti intensi con Mosca. E peraltro l’Italia ha sviluppato in questi anni rapporti sempre più stretti con Georgia e Armenia, a cui ci lega anche una comune cultura latina, e con l’Azerbaijan, dove l’Eni è una delle principali compagnie petrolifere. È un patrimonio di rapporti che l’Italia deve mettere a disposizione dell’Unione Europea consentendo così all’Ue di proseguire l’azione di mediazione di queste settimane per giungere a una vera stabilità nella regione. Insomma, serve una conduzione meno approssimativa. Anche il fatto che la maggioranza abbia deciso di convocare le Commissione Esteri di Camera e Senato con l’audizione del titolare della Farnesina, soltanto il 26 settembre, non mi pare un segnale positivo.
Quello che emerge è per ora una inadeguatezza molto forte del governo a misurarsi con le sfide dello scenario internazionale.E anche su questo fronte, il Partito Democratico intende incalzare la maggioranza, avanzando proposte credibili e impegnative per un ruolo incisivo dell’Italia nel mondo».