Cosa sono le lauree professionalizzanti che partiranno a settembre
Solo il 57% degli universitari italiani ha svolto un percorso di tirocinio o lavoro durante gli studi. Perchè nascono le lauree professionalizzanti
ROMA - Soprattutto relativamente alle tematiche di Industria 4.0 si sente spesso parlare di trasferimento tecnologico. Che poi è il ponte che collega le università alle imprese. E che in Italia manca quasi del tutto. Motivo che ha spinto il caro Calenda (e il suo team) a introdurre nel Piano Industria 4.0 un interessante capitolo dedicato ai Competence Center, strutture in procinto di nascere sul territorio italiano e che dovrebbero incanalare gli studenti verso le imprese e le imprese verso l’ammodernamento tecnologico. Insomma, una vera e propria rete, capace di sfruttare le tecnologie emergenti, soprattutto in ambito manifatturiero.
I Competence Center, tuttavia, non sono l’unica soluzione. Del resto l’ultima indagine di Almalaurea parla chiaro: solo il 57% degli universitari italiani ha svolto un percorso di tirocinio o lavoro durante gli studi, una percentuale decisamente bassa rispetto agli altri paesi europei, con i quali si è creato un concreto gap di competitività. Ed è proprio questo gap ad aver spinto il Ministero dell’Istruzione a lanciare, per il prossimo anno accademico 2018/2019, le cosiddette lauree professionalizzanti, ovvero dei percorsi di studio maggiormente finalizzati all’introduzione lavorativa rispetto alle lauree tradizionali, dalle quali si differenziano per l’aggiunta di un anno di tirocinio curricolare sul campo, in seguito a due anni di studio e corsi. Questi corsi, fortemente orientati al mondo delle professioni, rappresentano una nuova opportunità per chi si appresta a concludere le scuole superiori.
A introdurre le lauree professionalizzanti è stata il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli. Il meccanismo prevede che le università possano creare un solo corso accademico, a patto di stringere convenzioni con le imprese e gli ordini professionali dove gli studenti dovranno svolgere il periodo di stage. Un requisito importante per avviare la sperimentazione è, infatti, il coinvolgimento degli stakeholder del territorio, per costruire un’offerta formativa che sia strettamente connessa al tessuto produttivo locale. I corsi saranno a numero chiuso, ma le università dovranno impegnarsi concretamente a far sì che almeno l’80% dei partecipanti trovi, entro un anno dalla laurea, uno sbocco occupazionale attinente agli studi svolti.
Come potete vedere dall’elenco qui sotto, molti corsi di studi hanno a che fare con la tecnologia, specialmente apportata alla manifattura più esercitata nel territorio di riferimento:
Bologna - Ingegneria Meccatronica
Modena - Ingegneria per l’Industria Intelligente
Bolzano - Ingegneria del Legno
Salento - Ingegneria delle Tecnologie Industriali
Napoli - Gestione del territorio, Conduzione del Mezzo Navale, Ingegneria Meccatronica
Bari - Gestione del Territorio
Firenze - Tecnologie e Trasformazioni Avanzate per il Settore Legno, Arredo ed Edilizia
Padova - Tecniche e Gestione dell’Edilizia e del Territorio
Politecnica delle Marche - Tecnico della Costruzione e Gestione del Territorio
Udine - Tecniche dell’Edilizia e dell’Ambiente
Siena - Agribusiness
Palermo - Ingegneria della Sicurezza
Sassari - Gestione Energetica e Sicurezza
Benché le lauree professionalizzanti siano più o meno ripartite su tutto il territorio nazionale, dall’elenco emerge la mancanza di alcuni dei poli d’eccellenza più importanti d’Italia come quello di Torino e Milano, segno che questo modello ha bisogno di una spinta ulteriore per affermarsi su tutta la penisola.
Malgrado l’offerta risulti piuttosto frammentata, gli studenti potranno sempre fare affidamento sugli Istituti Tecnici Superiori, ancora poco conosciuti, ma che rappresentano una delle leve più significative del nostro Paese, nel quale se ne contano circa una novantina. Gli Istituti Tecnici Superiori sono "scuole ad alta specializzazione tecnologica", nate per rispondere alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche. Formano tecnici superiori nelle aree tecnologiche strategiche per lo sviluppo economico e la competitività e costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria (post diploma). Si costituiscono secondo la forma della Fondazione di partecipazione che comprende scuole, enti di formazione, imprese, università e centri di ricerca, enti locali. Le Fondazioni ITS in Italia sono 93: 34 nell'area delle nuove tecnologie per il made in Italy, 17 nell'area della mobilità sostenibile, 13 nell'area dell'efficienza energetica, 12 nell'area delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, 10 nell'area delle tecnologie della informazione e della comunicazione e 7 nell'area delle nuove tecnologie della vita.