Sono gli ultimi (drammatici) giorni prima del voto su Brexit
Mancano meno di due settimane alla seduta parlamentare e nessuna delle ipotesi sembra in grado di raggiungere la maggioranza. La May rischia di cadere
LONDRA – Siamo agli ultimi drammatici giorni, meno di due settimane, prima del voto parlamentare dell'11 dicembre alla Camera di Comuni di Westminster sulla Brexit. Allo stato attuale, nessuna delle opzioni ipotizzabili disporrebbe della maggioranza: né quella dell'accordo di recesso negoziato con Bruxelles e sostenuto con forza dalla premier Theresa May come l'unico e il migliore possibile, né l'ipotesi «Norvegia plus», che sta guadagnando sempre più terreno, né tanto meno la soluzione di un secondo referendum propugnata da una parte degli anti Brexit. E restano fortemente minoritari in Parlamento i «Brexiteer» duri e puri, che preferirebbero uscire dalla Ue senza accordo («no-deal»).
Subito alle urne?
Se la May dovesse essere sconfitta pesantemente al voto dell'11 dicembre, a queste opzioni bisogna aggiungere quella, in prospettiva, di nuove elezioni anticipate, come vorrebbero in particolare i laburisti per puntare poi, con un nuovo governo, alla riapertura del negoziato con l'Ue nel tentativo di strappare un migliore accordo. Un'altra opzione possibile, ma per ora considerata meno probabile, è quella di andare al secondo referendum, in alternativa o successivamente alle nuove elezioni. Altrimenti, resta lo scenario, già visto, di un cambio di leadership alla guida del Partito conservatore e del governo, dopo le probabili dimissioni dell'attuale premier. Anche in questo caso, naturalmente, il successore della May partirebbe dalla pretesa di rinegoziare l'accordo con Bruxelles. Resta da vedere se l'Ue resterebbe inchiodata, coma ha detto finora, alle proprie attuali posizioni assolutamente contrarie a toccare anche un virgola della voluminosa bozza di accordo di recesso. Se, invece, l'accordo con l'Ue dovesse essere respinto da una maggioranza non schiacciante, la May potrebbe sempre chiedere la ripetizione del voto, cercando di capitalizzare sulla paura del «no-deal» (diventato più probabile con la bocciatura), soprattutto da parte dei laburisti e dei «soft brexiteer».
Ritorno al passato
Negli ultimi giorni due elementi nuovi sono emersi nell'intensissimo dibattito politico e sulla stampa britannica: il primo è il sorprendente ritorno dell'ipotesi «Norvegia plus», ovvero l'idea che il Regno Unito possa ritornare nell'Efta (l'Accordo europeo di libero scambio, fondato proprio dai britannici nel 1960, prima della loro adesione alla Comunità europea del 1973), e quindi restare nel mercato unico Ue, come tutti i membri dell'Efta (Norvegia, Islanda e Liechtenstein attraverso il trattato sullo Spazio economico europeo, e la Svizzera con accordi ad hoc). Il secondo elemento è la considerazione di quanto possa rivelarsi illusorio fare affidamento sulla «matematica parlamentare», secondo una definizione del Financial Times, per considerare scontato che, non essendoci maggioranza a Westminster favorevole al «no-deal», il «no-deal» non ci sarà. In realtà, la maggioranza contraria a questa ipotesi, considerata catastrofica, è composta di tre minoranze diverse: la prima è quella filo governativa, favorevole all'accordo attualmente sul tavolo; le altre due sono quella dei «soft Brexiteer» che non sono convinti dall'accordo negoziato con Bruxelles, né nel campo conservatore né in quello laburista, e quella degli anti-Brexit, una parte dei quali preferirebbe il secondo referendum. Se queste diverse minoranze non convergeranno, magari nell'eventuale secondo voto, sulla posizione della May, o su una posizione simile ma emendata (l'opzione «Norvegia plus»), aumentano esponenzialmente le probabilità che il Parlamento esca senza nessuna posizione approvata dalla maggioranza prima della scadenza dei negoziati con l'Ue, il 29 marzo prossimo, e che dunque la Brexit avvenga «in modo disordinato» secondo lo scenario del «no-deal».
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