La Russia al voto. Vincerà, ma senza plebiscito, Vladimir Putin
Opposizioni nulle o pericolose. La Russia si muove a piccoli passi verso la democrazia, ma secoli di storia non si possono superare in breve tempo
MOSCA - La Russia andrà al voto per eleggere il suo presidente. Senza alcun dubbio trionferà Vladimir Putin, che giungerà così al suo quarto mandato. Nonostante le stravaganti notizie di questi giorni, che lo danno malato e incapace perfino di muoversi, il popolo russo gli darà nuovamente fiducia: il consenso che circonda la figura di Vladimir Putin, ex colonnello del Kgb che non ha mai abiurato il suo passato come moltitudini prima di lui, sfiora il 70%, e con ogni probabilità dalla tornata elettorale uscirà vittorioso con una percentuale compresa tra il 50 e il 60%. Quindi non un plebiscito, ma qualcosa di molto vicino.
Russia Unita
Il suo partito si chiama Russia Unita, ma questa volta Vladimir Putin correrà da solo. Il messaggio è chiaro: io sono la Russia, io sono l’unico che può tenere insieme il paese. Per capire questo passaggio, che ovviamente ha forti tratti verticistici, si dovrebbe affrontare con serenità il sentire popolare russo, la sua storia sociale fin dai tempo del primo Zar, Ivan IV detto "Il terribile". Secoli di autocrazia, più o meno evidente, compresa la lunga parentesi sovietica, non si possono cancellare. E’ profondamente radicato nel sentire russo che il paese debba essere «tenuto unito» da una personalità forte, che sia in grado di far compenetrare le immense differenze che da secoli attraversano la società. Non a caso la stessa ideologia de «Russia Unita», il partito di maggioranza, è un vasto collage. Buona parte della dirigenza proviene dall'establishment dell'ex Partito Comunista. Ma nel 2009 ha dichiarato il conservatorismo la sua ideologia ufficiale: può essere quindi considerato un partito di destra, anche per le sue posizioni fortemente conservatrici e nazionaliste. Dentro Russia Unita c’è spazio per tutti coloro che non vogliono abiurare il proprio passato: in primis per gli zaristi e per i comunisti. Ci sono i liberali, gli statalisti, i filoccidentali, quelli che vogliono far soldi, quelli che non vogliono togliere la tomba di Lenin dalla piazza rossa a Mosca, i cristiano ortodossi, gli stalinisti: tutto. La Russia, unita. Prova di ciò si può trovare nella ricetta economica, ultra liberista e statalista al contempo. Il capitalismo di stato, fondato sulle materie prime, domina l’assetto economico russo. Ma questo non impedisce che vi sia una tassazione «piatta» che agevola gli investimenti privati.
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Perché Putin non ha rivali?
Si dovrebbero ascoltare i discorsi dei concorrenti del presidente per capire perché Putin non abbia rivali. In primis Navalnj, nuovo eroe dell’Occidente, che non potrà presentarsi alle elezioni perché condannato due volte per corruzione. Ecco i concorrenti. Grudinin, il miliardario comunista. Ha preso il posto del mitico Ziughanov, un pupazzo a cui piaceva fare la parte del pupazzo. Di fatto è sempre stata la spalla comunista di Putin, forte di trenta milioni di voti tenuti nel congelatore della storia. Grudinin, il suo successore, è tutto tranne che un comunista. A meno che non si voglia dare alla categoria la famosa accezione di Flaiano che diceva: «non sono comunista per mancanza di mezzi.» Grudinin invece ne ha eccome: soprannominato il «candidato alla fragola», il 57enne è il più grande coltivatore di fragole della Russia e possiede un’impresa agricola fuori Mosca. È stato inaspettatamente spinto nella corsa dal Partito Comunista (KPRF), nella quale ha superato Gennady Zyuganov (eterno secondo nelle precedenti elezioni). Grudinin non è un membro del KPRF. Secondo i sondaggisti arriverà secondo con circa il 6% dei voti. Vuole trasformare la Russia in una sorta di Cina. Un compagno miliardario: impresentabile.
Zhirnosky e gli altri
Ed eccoci a Zhirnosky, eterno ubriacone russo nazionalista. Non si sa nemmeno cosa proponga, da decenni. Rimangono noti i suoi sproloqui, le sue risse, la vodka, le minacce nucleari verso tutti. Abbaia in televisione ma poco più: impresentabile. Grigory Yavlinsky è un liberale fossile, amante della bella vita, ha cercato la presidenza quasi quanto Zhirinovsky. Filoccidentale, accusa Putin di essere un dittatore ma non è mai stato in grado di attirare il più ampio elettorato russo. Non andrà oltre l’1%: impresentabile. Sergei Baburin è a capo dell’Unione Panrussa del popolo, un partito marginale, conservatore, che sostiene Putin nella politica interna ed estera. Non conta nulla, non decide nulla, bruca briciole che cadono dal tavolo del governo. Trentasei anni, Ksenia Sobchak è un’ex subrette della tv spazzatura ha trasformato l’opposizione extraparlamentare in un talk show dove si urla. Bellissima, liberale, è soprattutto la figlia dell’ex sindaco di San Pietroburgo, Anatoly Sobchak, da quando ha annunciato la sua candidatura, ha avuto accesso praticamente illimitato ai media. Oltre le apparenze il nulla: impresentabile.
Maxim Suraikin, altro volto giovane in queste elezioni. Il 39enne è presidente del partito Comunisti di Russia, fondato nel 2009. Suraikin si è posizionato come alternativa al Partito comunista russo. E’ orgogliosamente stalinista, cosa che in Russia non dispiace in questi tempi: impresentabile.
L'Occidente tifa per la sua sconfitta, ma...
Ora è chiaro che di fronte a personaggi così, la figura di Putin si erge. Il balzo compiuto dalla Russia, dopo la catastrofica parentesi di Elcin, è innegabile. Da paese sull'orlo della balcanizzazione, ad un contesto stabile, privo di tensioni sociali importanti. I critici sostengono che sia tutto dovuto a uno stato di polizia, peraltro difficilmente riscontrabile nella quotidianità russa. Questo non significa che Putin non abbia in sé le caratteristiche dell’autocrate. Ma, di fatto, è la storia russa che plasma in secoli tale condizione. L’Occidente che tifa, legittimamente, affinché Putin cada deve domandarsi cosa accadrebbe se al suo posto subentrasse uno qualsiasi dei personaggi sopradescritti - i quali sarebbero essi stessi autocrati - compreso il più impresentabile di tutti: quel Navalnj che accorpa posizioni razziste, ultranazionaliste – Putin in confronto appare un internazionalista – e populiste.
E dopo?
Sono commenti che nelle strade di Mosca, o San Pietroburgo, si sentono ripetere dall’uomo della strada come dall’intellettuale, i quali si domandano: «Va bene buttare giù Putin? Ma dopo? Zhirinoskj? I comunisti mliardari?». Indubbiamente il presidente in carica può non piacere, per il suo modo di fare, per la sua politica, per le sue idee, ma rappresenta un argine verso la balcanizzazione di un paese che da secoli, in ogni caso, ribolle ed è sempre in grado di sconvolgere il mondo. La Russia, ancora oggi, rischia la balcanizzazione: la fine del sovietismo ha spalancato le porte a dieci anni di anarchia selvaggia – la fase prodromica della democrazia – seguita da un periodo di assestamento, per molti aspetti anche autoritario, coinciso con il regno di Putin. Ma non si può pensare che si torni a figure quali Elcin, in totale balia delle mafie e della vodka.
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