20 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Crisi coreana

Perché adesso le due Coree si parlano

La prima tappa di un rinnovato dialogo tra le due Coree, di Panmunjom sembra essere andata particolarmente bene

PYONGYANG - Strette di mani, sorrisi, altisonanti dichiarazioni che prospettano futuri sviluppi. La prima tappa di un rinnovato dialogo tra le due Coree, che ha avuto luogo stamani (attorno alla mezzanotte in Italia) nel «villaggio dell’armistizio» di Panmunjom, sembra essere andata particolarmente bene. La «diplomazia olimpica» del nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in, dopo aver avuto un sofferto via libera dall’alleato statunitense Donald Trump, porta a casa un risultato: la partecipazione di Pyongyang alle Olimpiadi invernali di PyeongChang del 9-25 febbraio. E’ un esito importante, ottenuto immediatamente: segno che probabilmente un accordo era già in qualche modo stato raggiunto nei passaggi di diplomazia informale. La Corea del Nord invierà i suoi atleti, la delegazione del Comitato olimpico, una delegazione «di alto livello», performer artistici e atleti di taekwondo per un’esibizione dell’arte marziale coreana, cara a tutte e due le metà della Penisola.

Cosa è stato decisivo
Decisiva, in questo senso, è stata la decisione di Sudcorea e Usa di sospendere le proprie manovre militari che Pyongyang considera sempre un atto di guerra. Sospesa anche la guerra di parole tra Kim Jong Un e Trump, che ha animato le cronache negli ultimi mesi a colpi di tweet e dichiarazioni nei quali l’uno definiva l’altro «Rocket Man» (Trump su Kim) e l’altro gli rispondeva dandogli del «vecchio rimbambito». A Panmunjom inoltre è stato raggiunto un accordo per la riapertura della linea telefonica militare, necessaria per evitare incidenti tra i soldati delle due Coree che si guardano in cagnesco lungo la Zona smilitarizzata stabilita dall’armistizio del 1953: non bisogna mai dimenticare che Seoul e Pyongyang sono tuttora paesi in guerra.

E le famiglie divise dalla guerra?
Invece è rimasta interlocutoria la possibilità di riavviare gli incontri tra le famiglie divise dalla guerra di Corea, bloccate dal 2015. Il Sud ha richiesto che queste commoventi riunioni familiari riprendano presso lo stesso villaggio di Panmunjom, ma Pyongyang pare al momento restare ferma alla sua precondizione: vuole la restituzione di 13 persone che considera «rapite» dal Sud. Si tratta di 12 dipendenti di un ristorante nordcoreano in Cina, che hanno trovato rifugio al Sud, e una fuoriuscita «per errore» che vorrebbe tornare al Nord. Si vedrà nelle prossime settimane se vi saranno passi avanti su questo fronte, come su quello della possibile riapertura della Zona industriale congiunta di Kaesong, chiusa nel 2016 dopo il quarto test nucleare nordcoreano.

Il più grande successo di Moon
Il successo maggiore di Moon, tuttavia, sembra essere quello di aver rovesciato il «mood» completamente negativo che, ancora poche settimane fa caratterizzava i rapporti attorno alla Corea del Nord. Il sesto test nucleare di settembre e il lancio di un missile intercontinentale Hwasong-15, in grado di raggiungere gli Stati uniti continentali e, secondo diversi esperti, anche Washington, aveva esacerbato la situazione ponendo scenari di guerra sempre più catastrofici. L’unico tra i leader regionali che si era tenuto ben alla larga dalle polemiche era stato proprio Moon, la cui diplomazia ha evidentemente lavorato in silenzio.

"Divina volontà"?
Oggi il capo della delegazione nordcoreana, il presidente del Comitato per la riunificazione pacifica del paese Ri Son Gwon, ha attraversato la Linea di demarcazione per andare all’incontro vestito in abiti civili, con la sola spilla del Partito (quella con l’effigie di Kim Il Sung e di Kim Jong Il) al bavero della giacca. Ha stretto la mano per due volte al suo omologo sudcoreano, il ministro dell’Unificazione Cho Myoung-gyun, e ha persino proposto di negoziare a porte aperte. Le sue sono state parole di speranza. Ha auspicato che l’incontro fosse l’occasione per dare «un primo prezioso dono» al popolo coreano, il quale vuole «un miglioramento delle relazioni inter-coreane». Ha persino citato la «divina volontà», secondo quanto ha riferito il sito NK News. Un clima positivo anche quello nella delegazione sudcoreana. Cho ha citato il detto «Roma non fu costruita in un giorno», ma ha ribadito la volontà di andare oltre i colloqui odierni. Insomma, un percorso è stato avviato.

E adesso?
Ma, dove porterà? Al momento è difficile dire se la ripresa del dialogo inter-coreano, salutato positivamente da molte capitali, porterà a risultati che persistano dopo i Giochi invernali. Le aperture fatte da Kim Jong Un nel suo discorso di inizio anno hanno l’obiettivo, secondo un commento pubblicato dalla KCNA ieri e ripreso con evidenza dal cinese Global Times, di raggiungere la pace per una «rapida riunificazione». La ministra degli Esteri sudcoreana Kang Kyung-wha, dal canto suo, ha detto ieri che «il governo guarda oltre la partecipazione alle Olimpiadi di PyeongChang per considerare come migliorare le relazioni intercoreane e cercare una collaborazione stretta con la Comunità internazionale per tentare di portare alla denuclearizzazione della Corea del Nord».

Dottrina «Byungjin» e dintorni
Tuttavia la dottrina «Byungjin», prerogativa del regime del leader Kim Jong Un, si basa proprio sul «contemporaneo sviluppo dell’economia e del nucleare» e in moltissime occasioni Kim ha chiarito che lo sviluppo della deterrenza nucleare e missilistica è centrale alla strategia nordcoreana. In questo senso, Seoul è schiacciata da Trump che ha promesso che non consentirà alla Corea del Nord di minacciare le città americane: si rassegnerà, il presidente americano, al dato di fatto di Pyongyang come potenza nucleare? Oppure sarà la Cina che riuscirà a convincere Pyongyang a fare un passo verso il disarmo, ammesso che abbia la capacità d’influenzare la Corea del Nord che Trump le accorda? Sono le risposte che solo le prossime settimane e mesi potranno fornire.