19 aprile 2024
Aggiornato 23:30
Intesa possibile grazie anche all'attivismo diplomatico di Roma

Libia, Serraj e Haftar a un passo dall'intesa, ma il cammino è ancora accidentato

Una delle crisi geopolitiche più complicate da sciogliere in assoluto, quella libica, potrebbe aver subito una svolta. Il premier riconosciuto dall'Onu Faiez Al-Serraj e il generale Khalifa Haftar avrebbero firmato una bozza di intesa

TRIPOLI - Una delle crisi geopolitiche più complicate da sciogliere in assoluto, quella libica, potrebbe aver subito una svolta. Questa, almeno è la tesi sostenuta dai media locali e internazionali, dopo che ieri i due «nemici» Faiez al Serraj, premier del Governo di Unità Nazionale sostenuto dall'Onu, e Khalifa Haftar, espressione militare del governo di Tobruk e uomo forte della Cirenaica, hanno avuto uno storico faccia a faccia. L'incontro si è tenuto ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Unitie, secondo quanto dichiarato ad askanews da fonti diplomatiche che seguono da vicino il dossier, "La diplomazia italiana ha svolto un ruolo di primo piano e decisivo» nell'intesa.

L'intesa
Sì, perché di «intesa» si parla. Nonostante il colloquio di due ore sia terminato senza un comunicato congiunto, e benché gli Emirati Arabi siano di fatto sostenitori di Haftar, circostanza che potrebbe alimentare dubbi sulla reale portata della svolta. Eppure, secondo la stampa libica sarebbe stata redatta «una bozza di documento» firmata dai due rivali, a sintetizzare l'accordo raggiunto. Secondo la tv giordana Canale 18, vicina ad Haftar, i punti principali sarebbero lezioni parlamentari e presidenziali entro il mese di marzo 2018; comando congiunto dell'esercito e scioglimento delle milizie; oltre alla formazione di un organismo per la formazione di un esecutivo unitario. Haftar e Al Sarraj si sarebbero inoltre dati appuntamento per rivedersi verso la metà di maggio nella capitale egiziana il Cairo, proprio dove, lo scorso febbraio, l'incontro prefissato saltò a causa dell'improvviso rifiuto del generale.

Lo scenario
"L'incontro è frutto di pressioni sul generale Haftar esercitato dai suoi principali sostenitori politici quali Emirati, Egitto e Russia, ma anche dalla diplomazia italiana, in coordinamento con gli Usa, dove Donald Trump non vede di buon occhio l'avvicinamento di Haftar a Mosca", avrebbe dichiarato ad askanews la fonte diplomatica, ricordando i recenti viaggi del titolare della Farnesina Angelino Alfano nelle capitali dei tre Paesi sponsor dell'incontro di Abu Dhabi: gli stessi Emirati, il 23 marzo; Mosca il 27 dello stesso mese e Washington, dove ha incontrato tra l'altro il suo omologo egiziano Sameh Shoukry. Una geografia diplomatica che suggerisce consultazioni con tutte le parti in questione.

Un passo verso la risoluzione della crisi?
Del resto, è noto che Al Sarraj è il leader sul quale punta la diplomazia italiana, ma anche quella quella delle Nazioni Unite e, almeno formalmente, dell'intera Unione europea, ragionano le fonti. A confermare l'intesa anticipata dai media, oggi sono arrivati due comunicati ufficiali di tono ottimistico. Il primo del ministero degli Esteri dell'esecutivo di al Sarraj, che vede nell'incontro di Abu Dhabi la possibilità concreta di «realizzare il ritorno alla stabilità politica ed a stendere la sicurezza in tutti gli angoli del Paese». Il secondo del ministero degli Esteri del Paese ospitante, che definisce la riunione «un passo tangibile verso una soluzione politica» nel Paese nordafricano precipitato nel caos dopo la caduta del regime del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011.

Ostacoli
D'altra parte, la natura della questione richiede una certa cautela. Perché sono ormai 6 anni che il Paese è sconvolto da divisioni interne e gruppi rivali. Il generale Haftar controlla circa due terzi del Paese, contendendo a Serraj, il «cavallo» su cui l'Occidente ha sempre puntato, il potere. Haftar stesso è sostenuto da potenze straniere, in primis la Russia. Bisognerà però verificare se l'accordo potrà essere messo al riparo dall'instabilità politico-militare di quel territorio. Sarà anche difficile raggiungere una stabile intesa su quali gruppi considerare come «terroristici»: se, come si ventila, saranno ritenute tali le milizie del Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi e le Brigate di Difesa di Bengasi - per via dei loro legami con al Qaeda -, è probabile che le divisioni saranno molte e profonde. Numerosi gruppi di Misurata potrebbero infatti non accettare la mossa, insieme a coloro che sono alleati con il gran mufti del Paese Sheikh Sadik al-Ghariani.