Protezionismo, patria e lavoro: come un cowboy nel saloon, Trump giura e umilia «l'establishment»
Un discorso duro, privo di barocchismi, diretto alla pancia degli statunitensi impoveriti. Donald Trump è il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, e il suo insediamento non ha precedenti nella storia recente
WASHINGTON - Un discorso duro, privo di barocchismi, diretto alla pancia degli statunitensi impoveriti. Donald Trump è il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, e il suo insediamento non ha precedenti nella storia recente. Tutto il suo pensiero ruota intorno alla congiunzione avversativa «ma», che segue il dovuto ringraziamento a Obama: due lettere, da cui erompe l’accusa all’establishment - l’apparato dei politici – che si sono arricchiti mentre il popolo si impoveriva. Un concetto pronunciato, scandito, ripetuto, senza alcun timore di fronte alla crème democratica che guarda con occhi gelidi quell’intruso che li umilia di fronte al mondo. Obama e signora, Clinton e signora, Nancy Pelosi e altri, sono statue di sale prese a picconate. Trump conosce molto bene il meccanismo del consenso attraverso l’opposizione, e lo sfrutta a fondo. Le sue parole non sembrano costruite da maghi della retorica, sembrano sgorgargli dal cuore: il suo disprezzo è sincero, genuino, profondo. Un discorso da cow boy che entra nel saloon che le pistole spianate.
"Stiamo ridando il potere al popolo"
«Ogni quattro anni ci troviamo qui per esercitare il tradizionale e pacifico trasferimento dei poteri. Ma la cerimonia di oggi ha un significato speciale perché non stiamo solo trasferendo il potere da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro, ma stiamo ridando il potere da Washington a voi, il popolo" ha detto Trump. "Oggi è il giorno in cui il popolo torna a comandare. Per troppo tempo, per troppi anni l’establishment ha protetto se stesso, ma non i cittadini. Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie. E mentre nella capitale festeggiavano, per le famiglie del nostro paese c’era poco da festeggiare. Tutto questo cambia qui, a partire da ora. Questo è il vostro giorno, la vostra festa, il vostro momento. Questo, gli Stati Uniti d’America, è il vostro paese. Il 20 gennaio 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo è tornato a governare il paese. Le persone dimenticate non saranno più dimenticate».
L'America viene prima
E’ l’odio verso i parassiti della politica quello che rompe gli argini: un sentimento globale, che va da Roma a Washington, passando dalle periferie industriali arrugginite che costellano l’ex mondo industriale dell’occidente. Con me, dice il presidente, inizia una vera rivoluzione. «Per molti anni abbiamo arricchito l’industria straniera a scapito di quella statunitense, abbiamo difeso i confini di altre nazioni e non i nostri. Da oggi ci sarà una nuova visione: l’America viene prima». E ancora: "Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, in materia di immigrazione, sugli esteri sarà presa a beneficio dei lavoratori americani e delle famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dalle devastazioni di altri paesi che distruggono i nostri prodotti, rubano le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. L’America tornerà a vincere, come mai prima. Ci riprenderemo i nostri posti di lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Ci riprenderemo la nostra ricchezza. E ci riprenderemo i nostri sogni. Ricostruiremo il nostro paese con mani americane e lavoro americano. Seguiremo due semplici regole: compra americano e assumi americano».
Protezionismo e nazione
Il discorso da polemico diventa così incendiario, ed è evidente che Donald Trump ha scritto queste parole di suo pugno, senza l’ausilio di ghost writer. In esse ci sono le sue parole cardine: protezionismo e isolamento. E soprattutto il verbo "rendere", inteso come trasformazione - restituzione di quanto dovuto, ripetuto ben tre volte. Se terrà fede al proclama finale, Trump sconvolgerà gli equilibri globali, da tre decenni incardinati sul mito del commercio globale. Si torna indietro di almeno cinquant'anni.
"Renderemo l'America di nuovo ricca"
La platea alle sue spalle è attonita e guarda un uomo che sembra un fumetto fare affermazioni per loro evidentemente inascoltabili. «Il tempo delle chiacchiere vuote è finito. È arrivato il tempo dell’azione: ce la faremo, il nostro paese prospererà e sarà di novo ricco (…) Insieme renderemo di nuovo l’America forte. Renderemo l’America di nuovo ricca, renderemo l’America di nuovo orgogliosa, renderemo l’America di nuovo grande».
Assente il mondo della cultura
Assenti alla cerimonia di Washington vip, uomini e donne di «cultura», l’aristocrazia benpensante; di fronte a nuovo presidente, che saluta con il dito pollice alzato la folla, uno sterminato mondo di sconosciuti impoveriti che plaudono il loro beniamino che, almeno il primo giorno, non li ha delusi, facendosi ancora un volta voce della loro rabbia. «Doveva suonargliele a quei bastardi di Washington, ancora una volta di santa ragione, e l’ha fatto», commenta una florida signora che sventola felice una bandiera a stelle e strisce. Così, mentre l’inno viene cantato una sconosciuta, i media mondiali riprendono il martellamento verso il nuovo presidente, accusato di essere rozzo e volgare. In una parola: populista. Inizia una nuova era per gli Stati Uniti e per il mondo. Donald Trump, nel bene e nel male, cambierà il volto della terra.
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