Se l’Occidente è in Libia, ma non si sa con chi e a fare cosa
Si parla molto di terrorismo, ma troppo poco di Libia. Dove, invece, la stabilità del governo è pericolosamente a rischio, anche a causa della poca chiarezza dell'Occidente
TRIPOLI – Sono giornate dure, cosparse di sangue, giornate in cui è difficile non parlare e non sentir parlare (in tv, al supermercato, in coda alla posta, sull’autobus o al lavoro) di terrorismo. I fatti di sangue delle ultime settimane, in gran parte riconducibili alla nuova forma di terrore che stiamo drammaticamente sperimentando anche in Europa, catalizzano l’attenzione di media e opinione pubblica. Ma c’è un tema, pur drammaticamente connesso a quello del terrorismo, di cui ci stiamo temerariamente dimenticando: quello del gigante libico. Un gigante pericolosissimo, e con i piedi d’argilla.
I tre soldati francesi uccisi in Libia
I riflettori si sono brevemente riaccesi sulla Libia qualche giorno fa, alla notizia (per la verità ingiustamente poco ripresa dai media) della morte di tre soldati francesi nell’Est del Paese. Una circostanza che invece avrebbe meritato decisamente più attenzione, e non solo per il dovuto cordoglio ai militari uccisi e alle famiglie. Anche perché la domanda che è sorta spontanea a molti – compreso il governo libico – è cosa ci facessero tre militari francesi in quella parte del Paese. Una domanda che, peraltro, ne porta con sé altre: qual è il ruolo esatto delle truppe francesi e occidentali in Libia? Chi stanno supportando? Quali Paesi hanno militari nella polveriera nordafricana? E a fare cosa? Tutti dettagli che, ad oggi, sono ben poco chiari.
Un argomento caldo (fino a qualche mese fa)
La questione è tutt’altro che di poco conto. Ricorderete infatti come, fino a un paio di mesi fa, la situazione libica era un argomento caldo, caldissimo, oggetto di frequenti discussioni nelle cancellerie europee (e non solo) al punto che si ventilava un imminente intervento militare. Ricorderete anche che fu lo stesso segretario alla Difesa americana Ashton Carter ad annunciare in pompa magna la leadership italiana delle operazioni, mentre all’ambasciatore americano John Phillips spettò il compito di «suggerire» al nostro Paese l’invio di 5000 uomini oltremare. Peccato che, a stroncare i sogni di gloria occidentali, ci ha pensato lo stesso premier libico Fayez al-Serraj, dichiarando di non volere scarponi nè navi straniere sul proprio suolo. Una linea di buon grado raccolta dal governo italiano, che, preferendo la prudenza alla pur golosa prospettiva della leadership, ha subito confermato che non ci sarebbe stato alcun intervento, se non con l’assenso del governo di unità nazionale.
Francesi con Haftar: che sorpresa per Serraj
Da lì in poi, della Libia si è saputo poco e male. Giusto qualche confusa notizia a proposito di forze speciali francesi, americane e inglesi impegnate in operazioni di intelligence e di addestramento delle milizie locali, e rigorosamente a sostegno del governo legittimo; ma la verità è che ad oggi non si è ancora capito in che termini si possa circoscrivere il ruolo di queste «forze straniere» sul suolo libico. Tant’è che, alla notizia dei 3 militari francesi morti, lo stesso governo di Serraj sembra essere rimasto decisamente interdetto. Ancora più interdetto è rimasto quando si è capito che quei tre soldati stavano lavorando con le forze del controverso generale Khalifa Haftar, le uniche a disporre di elicotteri d’attacco di fabbricazione russa come quello abbattuto nello scontro che ha ucciso i 3 francesi. Una pessima notizia per il premier Serraj, visto che Haftar, oltre a opporsi alle milizie islamiste, si oppone anche al suo governo di unità nazionale, in teoria l’unico sostenuto e supportato dalle Nazioni Unite.
A rischio la stabilità del governo
Una vicenda dalle implicazioni politiche decisamente rilevanti. Da un lato lo dimostra la reazione del governo di unità nazionale, che ha chiesto chiarimenti ufficiali a Parigi, convocando peraltro l’ambasciatore francese e ricordando come un intervento militare non richiesto dal legittimo esecutivo sia «illegale». Dall’altro lato lo testimoniano le proteste seguite alla notizia della morte dei 3 francesi, proteste fomentate dagli islamisti e di fatto rivolte non solo alla Francia, ma anche al governo legittimo. Quanto accaduto, infatti, fa perdere chiaramente di credibilità al governo di Serraj, che dimostra di non sapere nemmeno se e quali «scarponi» stranieri siano presenti sul territorio e a fare cosa. I libici non sanno più di chi fidarsi, e tantomeno chi possa garantire un po’ di stabilità a un Paese dominato dal caos.
Terrorismo e petrolio
A tutto ciò, si aggiunga una componente essenziale per le dinamiche libiche: il petrolio. Le forze fedeli al governo parallelo (e non legittomo) della Libia hanno infatti minacciato di bombardare le petroliere che si avvicinano alle coste senza autorizzazione delle autorità nell'est del Paese nordafricano. «Non possiamo permettere che il petrolio libico sia esportato, se non attraverso la Compagnia Petrolifera Nazionale (Noc) a Bengasi», ha dichiarato il generale Abdulrazzaq al Nadhouri, capo di stato maggiore delle forze fedeli al governo rivale, con sede nella città orientale di Tobruk. «Prenderemo di mira ogni imbarcazione che si avvicina alla costa libica senza preventiva autorizzazione del Noc a Bengasi», ha spiegato alla France Presse.
Gli interessi dell’Occidente
E’ del tutto intuitivo come all’Occidente convenga stabilizzare la Libia, e non solo per i già di per sè sufficienti motivi di anti-terrorismo e sicurezza. La disgregazione del Paese ha influito pesantemente sulla filiera dell'oro nero. Come molte istituzioni, anche la compagnia petrolifera nazionale è stata divisa in due vista la presenza di altrettanti governi rivali. Il risultato è stato evidente sulla produzione, passata da 1,7 milioni di barili al giorno nel 2010 ai 400.000 nel 2015. Il contraccolpo si è avvertito anche nell’Ue, alla quale il gigante libico assicurava il 10% dell’import di oro nero nel 2011, mentre ora si limita al 2,5%. E se gli sforzi della comunità internazionale per garantire unità al Paese venissero vanificati, a vincerla sarebbe il caos. E a perderci sarebbero, oltre agli stessi libici, gli occidentali, sia in termini di sicurezza che di economia.
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