24 aprile 2024
Aggiornato 20:00
C'è attesa per le reazioni della Cina e della Corea del Sud

Giappone, ecco cos'ha detto Abe nel suo discorso sulla guerra

Come annunciato, l'attesissimo discorso di Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, pronunciato oggi in occasione del settantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, contiene il rimorso, scuse per il passato coloniale e l'aggressione imperiale ai vicini

TOKYO (askanews) - Come annunciato, l'attesissimo discorso di Shinzo Abe, il primo ministro giapponese, pronunciato oggi in occasione del settantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, contiene il «rimorso», scuse per il passato coloniale e l'aggressione imperiale ai vicini. Ma presenta anche una proiezione verso il futuro e un impegno a non trasmettere alle generazioni a venire l'obbligo di scusarsi ulteriormente con i paesi asiatici - a partire da Cina e Corea - che hanno subito l'espansionismo di Tokyo.

Monitorato dai vicini e non solo
Un discorso, quello di Abe, strettamente monitorato dagli osservatori, come lo sarà quello che terrà domani l'imperatore Akihito, che potrebbe segnalare indirettamente una discrasia con la linea del governo sulle politiche di sicurezza e difesa. Cina, Corea del Sud hanno tutte avvertito Tokyo che la presa di posizione di Abe doveva essere inequivoca. Se saranno soddisfatti, lo si vedrà dalle loro imminenti reazioni.  Il ragionamento del capo di governo è apparso articolato. La sua allocuzione è stata pesata in ogni parola, valutata dai suoi consulenti: troppo il pericolo di creare ulteriori contrasti con Pechino o con Seoul. Un discorso difficile che, come preannunciato nei giorni scorsi dallo stesso esecutivo, non scosta la posizione del primo ministro da quella dei suoi predecessori, che si sono allineati alle scuse presentate nel 1995 dall'allora primo ministro socialista Tomiichi Murayama.

Dal 1800 
Abe è partito da lontano, inquadrando e contestualizzando l'eplosione espansionista dell'Impero nipponico. Il Giappone - ha spiegato il capo del governo - s'è trovato nel XIX secolo con l'incombente presenza delle potenze coloniali occidentali e questo l'ha spinto a una rapida modernizzazione e alla consapevolezza, dopo la vittoria sulla Russia zarista (1905), di potersi creare un proprio spazio coloniale. Dopo la prima guerra mondiale, in realtà Tokyo si era adeguato, in un primo momento, al sistema della Lega delle Nazioni, ma la Grande Depressione spinse le potenze occidentali a blocchi economici e l'economia nipponica andò a rotoli. «Con l'Incidente manciuriano e, poi, col ritiro dalla Lega delle Nazioni, il Giappone andò gradualmente trasformandosi in un avversario del 'nuovo ordine internazionale' che la comunità globale aveva creato con tremendi sacrifici. Prese la strada sblagliata, s'incamminò sulla via della guerra. Settanta anni fa, il Giappone fu sconfitto», ha ricostruito Abe.

Inchino spirituale
«In questo settantesimo anniversario della fine della guerra, io m'inchino profondamente di fronte alle anime di coloro che hanno perso la vita, in Giappone e all'estero, ed esprimo un sentimento di profondo rimorso e il mio eterno, sincero cordoglio», ha proseguito. Il capo del governo ha quindi ricordato le vittime nipponiche morte in patria e «in remoti paesi stranieri» e le vittime degli «spietati» bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, oltre che di quelle della battaglia di Okinawa. Per quanto riguarda le vittime straniere, Abe ha parlato di «innumerevoli vite di giovani con promettente futuro» perse in Cina, Sudest asiatico, isole del Pacifico. E ha fatto un cenno velato anche alle cosiddette «donne di conforto», cioè le donne - spesso coreane - costrette a prostituirsi a uso dei soldati imperiali. «E' un fatto che il nostro paese ha inflitto innumerevoli danni e sofferenze a giovani vite. La storia è qualcosa di spietato, non permette di tornare indietro. Ciascuna di queste (vittime) aveva i suoi sogni, la sua amata famiglia. Quando penso a questa banale verità, anche oggi, resto senza parole e il mio cuore si riempie di rimorso», ha proseguito il numero uno dell'esecutivo di Tokyo.

No ai drammi della guerra
«Bisogna che non si ripetano ancora i drammi della guerra. I disastri, l'aggressione, il conflitto. Abbandonando per sempre la logica coloniale, dobbiamo creare un mondo che rispetti il diritto all'autodeterminazione di tutti i popoli», ha continuato Abe, promettendo che il Giappone resterà «determinato a non deviare dal percorso» fatto nel diventare una nazione «amante della pace». Abe è al centro di polemiche per il progetto di riforma sulla sicurezza, di cui attualmente si discute nella camera alta della Dieta, che prevede un allargamento delle competenze delle Forze di autodifesa, pur senza una modifica della lettera della Costituzione pacifista. 

Rimorso e riconoscimento
«Il nostro paese - ha detto ancora il premier - ripetutamente ha espresso il suo rimorso profondo e le sue accorate scuse. Per rappresentare concretamente questo sentimento, abbiamo scolpito nei nostri cuori la storia delle sofferenze delle genti d'Asia che hanno sofferto: nel Sudest asiatico, in Indonesia, nelle Filippine, a Taiwan, nella Repubblica di Corea e in Cina, tra gli altri; inoltre ci siamo votati, dalla fine della guerra, al progresso della pace nella regione. Questa posizione dei precedenti governi sulla storia non è modificabile». Questi sentimenti di rimorso e di riconoscimento delle tragedie passate, tuttavia, non dovranno pesare per sempre sul popolo giapponese. E questa è la seconda parte del messaggio di Abe, proiettata al futuro. «In Giappone, le generazioni del dopoguerra ora superano l'80 per cento della popolazione totale. I nostri figli, i nostri nipoti, le generazioni future che non hanno avuto nulla a che gfare con la guerra, non devono essere lasciate a un destino in cui si dovranno continuare a scusare», ha affermato il capo del governo. E per questo, ha aggiunto, «noi giapponesi, attraverso le generazioni, abbiamo la responsabilità di affrontare ed ereditare la storia del passato, con tutta l'umiltà, e passarla al futuro». La lezione della storia, ha precisato, va «iscritta nei cuori».