Grecia, se il salvataggio dell'Ue è più doloroso del fallimento
Le trattative tra Grecia e creditori internazionali sono ancora aperte, ma c'è chi pensa che il lieto fine non arriverà mai. Almeno finché Bruxelles continuerà a imporre piani di salvataggio controproducenti, e sarà più preoccupata di preservare se stessa piuttosto che aiutare la Grecia a uscire dalla crisi.
ATENE – Le trattative tra la Grecia e i suoi creditori sono una corsa contro il tempo, e il lieto fine pare ancora lontano. Addirittura, c’è chi ritiene che il piano di salvataggio di Bruxelles sia «incredibilmente stupido». Secondo Daniel Altman, editor economico per Foreign Policy e professore associato presso la Stern School of Business della New York University, il collasso economico porterebbe sì a disordini sociali, ma, di fronte al debito-monstre ellenico, «salvare» la Grecia sin dall’inizio è stata una cattiva idea. Specialmente, con il piano di Bruxelles e del Fondo Monetario Internazionale.
I precedenti di Argentina e Irlanda
Altman ricorda due illustri precedenti alla crisi greca: in primis, quella scoppiata in Argentina tra il 2000 e il 2001, conclusasi con un fallimento che l’FMI non è riuscito a evitare a causa dell’eccessiva sopravvalutazione della moneta e dell’insostenibilità del debito; poi, quella irlandese, il cui epilogo è stato il salvataggio da parte dell’Ue, non senza grossi sacrifici da parte del Paese.
Il problema delle soluzioni a breve termine
Eppure, quella greca è un’altra storia. Il debito pubblico è infinitamente più pesante di quello argentino, e la situazione economica molto meno dinamica di quella irlandese. Insomma, Atene sarebbe nei guai, molto più di quanto non lo fossero i suoi due «predecessori». E ciò che le istituzioni stanno perdendo di vista è che le problematiche della Grecia non possono avere soluzioni di breve termine, come invece le si richiede di adottare. Nemmeno la più tirannica austerity potrebbe prosciugare in poco tempo un debito che sfiora il 170% del Pil, ma avrebbe il solo effetto di inghiottire qualsiasi spiraglio di ripresa economica.
Non è il momento per imporre altri sacrifici
In più, per Altman non c’è speranza che il Paese diventi «campione mondiale negli affari» nel giro di un paio d’anni, perché le misure da adottare sono estremamente complesse. Migliorare le garanzie per gli investitori, combattere la corruzione, promuovere un’efficace riforma del mercato del lavoro, contrastare l’endemica evasione fiscale: tutto questo richiede tempo. Nel frattempo, però, sarebbe un errore forzare la mano al Parlamento greco su questioni tanto fondamentali, facendogli perdere il consenso dell’opinione pubblica. Certo, promuovere riforme radicali nel bel mezzo della crisi potrebbe favorire la ripresa; eppure, se le riforme richiedono alla popolazione ulteriori sacrifici, è anche possibile che tale strategia finisca per far più male che bene. In una situazione del genere, bisogna considerare la probabilità che i sacrifici possano essere più sostenibili se spalmati su un intero ciclo economico.
A Bruxelles importa davvero della Grecia?
Nonostante i tentativi, il tunnel è ancora lungo, e per Altman lo rimarrà finché le istituzioni europee persevereranno nella loro controproducente strategia: modulare i programmi di salvataggio sulla base di ciò che vorrebbero la Grecia facesse, e non su ciò che Atene sia in grado di fare in effetti; preoccuparsi che la debitrice faccia tutti gli sforzi richiesti, piuttosto che rendere gli sforzi il più indolori possibile; preferire soluzioni a breve termine piuttosto che a lungo termine. In poche parole, la preoccupazione dell’Europa non è che la Grecia esca dalla crisi, ma che l’integrità dell’eurozona sia salvaguardata. Insomma, più che salvare la Grecia, Bruxelles lotta per salvare se stessa.
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