16 aprile 2024
Aggiornato 20:00
Parla Alessandro Marrone, responsabile ricerca nel Programma Sicurezza dello IAI

«Non chiediamoci cosa fa l'Isis, ma cosa fa l'Occidente»

Dopo i fatti di Tunisi, la percezione del pericolo terroristico a cui siamo sottoposti è cresciuta, e con essa la paura. In esclusiva per il DiariodelWeb.it, Alessandro Marrone, responsabile di ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa dell'Istituto Affari Internazionali, parla della natura dell'Isis, della minaccia che rappresenta e di come, a suo avviso, dovrebbe comportarsi l'Occidente.

ROMA – La paura aumenta, a vista d’occhio. Dopo i recenti fatti di Tunisi, è cresciuta la percezione del pericolo terroristico a cui siamo sottoposti, e che sembra lasciarci disarmati. Dal mondo politico si susseguono analisi e proposte di intervento: c’è chi invoca uno stop agli sbarchi per evitare di «portarci in casa» fondamentalisti pronti ad attaccarci, chi esorta ad agire tempestivamente in Libia, e la Comunità internazionale che sembra ancora temporeggiare. Ma quanto è concreto il rischio rappresentato dall’Isis per noi europei? E quale dovrebbe essere la risposta dell’Occidente? A rispondere a tali complesse questioni, in esclusiva per il DiariodelWeb.it, è intervenuto Alessandro Marrone, responsabile di ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali.

Alcuni esponenti politici sostengono che «siamo in guerra», e che la nostra cultura e civiltà siano sotto minaccia. E’ davvero così?

Di gruppi terroristici basati sul fondamentalismo islamico ne sono sempre esistiti, basti pensare ad Al Qaeda dieci anni fa: questo è vero. E’ anche vero che stiamo assistendo all’avanzata di un gruppo che vede l’Occidente come proprio nemico, e che, in questo senso, dichiara guerra all’Occidente e a tutto ciò che esso rappresenta. Forse non si può parlare di «guerra» come categoria tradizionalmente intesa, certo è che l’Italia, e i Paesi occidentali, dovranno valutare come difendere la propria sicurezza e i propri interessi nazionali, e intervenire, possibilmente sotto l’egida Onu, primariamente, per stabilizzare la Libia. Anche perché questo gruppo si sta spingendo sempre di più verso le coste mediterranee, e quindi verso l’Europa.

E’ corretto affermare che ciò che ora chiamiamo «Isis» e tanto ci spaventa sia soltanto l'ennesimo «cappello» indossato dal fondamentalismo islamico, che esiste da sempre? E quali sono, se ci sono, le indirette responsabilità occidentali nella sua avanzata?

L’Isis è una formazione particolare e recente. Certamente, il fenomeno fondamentalistico esiste da tempo ed ha un’esistenza particolarmente stratificata: le strategie di affiliazione, infatti, risultano molteplici e magmatiche. Oggi, l’Isis sta sventolando una bandiera a cui molti gruppi decidono di accodarsi, come Boko Haram, anche perché sfrutta una retorica condivisa e appetibile. In quanto alle responsabilità dell’Occidente, è vero che la situazione libica, da anni non stabilizzata e nel caos, ha consentito ai gruppi terroristici di appropriarsi illecitamente di una grande quantità di armi dismesse dalle varie milizie: esiste un traffico di armi illegale davvero consistente. A ciò, si deve aggiungere la circostanza per cui alcuni Paesi arabi abbiano finanziato gruppi del terrore, come la medesima Arabia Saudita.

E’ verosimile che i barconi dei migranti possano essere utilizzati da cellule del terrore per sbarcare sulle nostre coste?

Visto l’alto numero di migranti che si mettono in viaggio e si riversano sulle nostre coste, si può dire che sia un rischio, anche solo a livello statistico. Sui barconi dei migranti è possibile che siano presenti terroristi, o, magari, estremisti che potrebbero compiere atti criminali una volta giunti sul territorio. Tuttavia, dobbiamo anche ricordare che l’alto tasso di pericolosità in Europa è spesso imputabile agli immigrati già «europei», di seconda generazione, che non sono integrati nelle nostre società.

Che cosa si può fare? Alcuni politici vorrebbero fermare gli sbarchi.

Senza dubbio occorrono controlli seri delle rotte marittime, come quelli che l’operazione Mare Nostrum e Triton hanno messo in campo attraverso mezzi navali e aerei. E’ anche vero, però, che quei soli controlli non sono sufficienti. Non basterà certo controllare il mare fino a 50 km o 250 km dalla costa italiana, finché non si stabilizzerà la situazione in Libia.

A Mare Nostrum è stato imputato, da certa parte politica, di aver «peggiorato la situazione», incoraggiando, di fatto, i traffici criminali che gestiscono i flussi migratori e aumentando quindi il rischio di contagio terroristico per i nostri Paesi.

E’ una delle due facce di Mare Nostrum: da un lato, l’operazione è stata messa in campo perché già la situazione era compromessa, e dunque come risposta all’emergenza immigrazione e alle tante morti in mare. Dall’altro lato, non si può negare che, per le organizzazioni criminali, sapere della presenza di Mare Nostrum e di operazioni di recupero e salvataggio in mare potrebbe aver costituito una sorta di «incentivo». Tra le due cose, però, credo sia prevalente la prima: e cioè che a Mare Nostrum non possa essere imputato il problema dell’immigrazione e dei traffici che le stanno dietro, questioni che già da prima sussistevano e a cui si è cercato di fornire una risposta in una situazione di emergenza.

Oltretutto, ciò che mai si ricorda di Mare Nostrum è che ha portato all’arresto di numerosi trafficanti e al sequestro di alcune loro imbarcazioni.

Esatto, con Mare Nostrum diverse centinaia di trafficanti sono stati assicurati alla giustizia.

Tornando all’Isis, che cosa la distingue da altri gruppi terroristici islamici? Solo la strategia mediatica, o c’è dell’altro?

A mio avviso, ciò che più contraddistingue l’Isis è l’obiettivo di formarsi uno Stato. L’Isis sta sfruttando un vacuum, un vuoto nato dall’instabilità di molti Paesi arabi – Siria, Iraq, Libia – e, per la prima volta, cerca di crearsi una base territoriale vera e propria sulle rovine dei precedenti regimi. In questo senso, l’Isis è qualcosa in più di un semplice gruppo terroristico che compie atti sporadici: è un gruppo più «militarizzato», che persegue obiettivi e strategie territoriali. Poi, che ci riesca o meno, è un altro conto.

A questo proposito, a che punto è ora? Sul territorio, sta vincendo o sta perdendo?

La domanda giusta è: cosa sta facendo l’Occidente per fermarne l’avanzata? L’Isis controlla parte della Siria e dell’Iraq, e si sta sempre di più avvicinando alle coste che, al di là del mare, guardano all’Europa. Il destino dell’Isis dipende dalla risposta dei suoi nemici: da quando in Iraq le forze Usa ed europee – tra cui quelle italiane - hanno cominciato a rispondere per via aerea, o da quando si è cominciato a sostenere seriamente i curdi, l’Isis è stata messa in difficoltà. L’Isis non ha grandi mezzi, a paragone dei nostri: per capire quanto stia avanzando e quanto ancora avanzerà, dobbiamo innanzitutto chiederci quale sia l’impegno dell’Occidente per fermarla.