23 aprile 2024
Aggiornato 20:00
Crisi libica

Tripoli: elezioni sei mesi dopo fine della guerra

Said Gheddafi è ottimista. Istruttori britannici, Obeidi: «Fare un passo indietro»

TRIPOLI - La Libia potrebbe organizzare elezioni libere entro sei mesi dalla fine del conflitto, con la supervisione delle Nazioni Unite. Tripoli condanna però la decisione di Londra di inviare un team di istruttori a Bengasi, per fornire assistenza logistica, strategica e di intelligence ai ribelli in lotta contro il regime. «Noi pensiamo che una presenza militare sia un passo indietro e siamo sicuri che se saranno fermati i bombardamenti, e ci sarà una vera tregua, potremo avere un dialogo tra tutti i libici su ciò che tutti noi vogliamo, democrazia, riforme politiche, costituzione, elezioni. Questo non può avvenire con la situazione attuale», ha detto il ministro degli Esteri Abdul Ati al Obeidi in un'intervista concessa ad alcuni organi di stampa.

Il capo della diplomazia libica ha ammesso che i colloqui in corso su un eventuale processo di riforma includono anche la questione «se Muammar Gheddafi debba rimanere al suo posto, o ritirarsi». «Ogni argomento sarà sul tavolo», ha confermato il ministro. Secondo Obeidi, la comunità internazionale dovrebbe accettare il fatto che la Libia deve decidere da sola e senza interferenze il proprio futuro. «Gli Stati uniti, la Gran Bretagna e la Francia spesso si contraddicono. Parlano di democrazia, ma poi arrivano in Libia e dicono che Gheddafi se ne deve andare. Dovrebbe deciderlo il popolo libico. Non dovrebbe dirlo alcun altro capo di Stato. Tutto questo è contrario ai principi della democrazia», ha commentato.

Saif Al-Islam, da parte sua, si è detto «molto ottimista» e sicuro della vittoria del regime di Tripoli contro i ribelli. «La situazione evolve ogni giorno a nostro favore», ha aggiunto, sottolineando che il regime «non vuole vendicarsi» con i ribelli, in particolare a Bengasi, sede del Consiglio nazionale transitorio. Tuttavia, ha ammonito durante una trasmissione televisiva andata in onda su Allibiya, «il ricorso alle armi e alla forza sarà affrontato soltanto con la forza e coloro che superano le quattro linee rosse, (fissate da lui nel 2007, ossia il padre Gheddafi, la religione musulmana, la sicurezza di Stato e l'unità nazionale) se ne assumeranno le conseguenze».

Saif ha quindi bollato i leader della rivolta a Misurata e Zenten, nella zona occidentale del Paese, come «trafficanti di droga, uomini di affari che vogliono sottrarsi al pagamento di crediti» di decine di milioni di dollari. Il figlio di Gheddafi ha poi precisato che nel Paese sono stati sospesi diversi progetti da miliardi di dollari a causa delle condizioni di insicurezza e della partenza di decine di migliaia di lavoratori stranieri.

Dagli Stati Uniti, intanto, il vice presidente Joe Biden si è detto convinto che la presenza di soldati americani sia più utile in altri teatri di guerra o di crisi, come l'Egitto e il Pakistan. La Nato potrebbe assicurare le operazioni in Libia, persino se «un Dio onnipotente estirpasse gli Stati Uniti dalla Nato e ci deponesse su Marte in modo da non farci partecipare» alle operazioni militari, ha dichiarato Biden in un'intervista al Financial Times. «Sarebbe strano sostenere che la Nato e il resto del mondo non dispongono di risorse sufficienti per occuparsi della Libia. Non è così», ha proseguito il vicepresidente Usa. La Germania, infine, ha ribadito la sua posizione: l'invio di truppe di terra è da «escludere».