24 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Medio Oriente

Bahrein, vita tranquilla nella base Usa che sorveglia il petrolio

Il paese protesta ma non si sente alla base militare di Juffair. Washington vuole la stabilità della monarchia

MANAMA - Scorre senza intoppi la vita nella base navale Usa di Juffair, a Manama la capitale del Bahrein. A cinque chilometri, in Piazza della Perla, decine di migliaia di manifestanti contestano ogni giorno, dal 14 febbraio, la monarchia dei Khalifa e il governo. E due settimane fa le cariche di polizia ed esercito hanno causato sette morti e decine di feriti. Ma le notizie, spesso drammatiche, sfiorano soltanto l'esistenza e il lavoro delle migliaia di militari statunitensi che, di fatto, sono distaccati dalla realtà quotidiana del Bahrein. Vi si immergono parzialmente solo nei momenti di relax, per approfittare della vita notturna offerta da questo piccolo regno nel Golfo, situato a poche miglia dal coste saudite. Una portavoce militare, Jennifer Stride, si è preoccupata soltanto di sottolineare che i disordini non hanno interessato la base ne' i due moli dove la Marina Usa ha le sue navi più grandi.

Juffair è la base della V Flotta degli Stati Uniti e da decenni rappresenta una delle postazioni più importanti del dispiegamento militare americano in questa parte nel globo. «Da qui passa il 20% di tutto il petrolio prodotto nel mondo e diretto in Occidente. Noi dobbiamo garantire che i rifornimenti energetici non conoscano soste», dice un sottufficiale Usa, in condizioni di anonimato, che incontriamo in uno dei tanti caffè e fastfood disseminati intorno alla base. Un bahranita proprietario un'abitazione in questa zona può dire di essere stato baciato dalla fortuna perchè può darla in affitto ad un ufficiale americano con famiglia a prezzi stratosferici. «Ma è nostro compito anche garantire la sicurezza e gli interessi strategici degli Stati Uniti in questa parte del mondo», ci dice ancora il sottufficiale Usa, in evidente riferimento alla questione delle centrali atomiche iraniane dove, secondo Washington e Israele, la Repubblica islamica intende produrre ordigni nucleari. E il Bahrein è di fronte all'Iran, in una posizione eccellente da un punto di vista militare per lanciare o rispondere ad un attacco. D'altronde in questi anni da Juffair sono state lanciate tante missioni nella regione, in particolare dalle portaerei, che hanno svolto un ruolo centrale per l'offensiva anglo-americana in Iraq del 2003. E non è escluso che ne vengano lanciate altre in un futuro non troppo lontano se gli Usa decidessero di fermare con la forza delle armi il programma nucleare iraniano.

Sono una quarantina le navi da guerra, tra le quali due portaerei (l'Enterprise e la Carl Vinson), che fanno riferimento alla base nel Bahrein dove operano circa 4.800 uomini - tra di essi ci sono militari anche di altri paesi della Nato, inclusi due ufficiali e due sottufficiali della marina italiana - oltre a 1.300 contractor. Inoltre decine di migliaia di marinai sono distribuiti nella regione, a bordo delle navi della flotta.

Un impiego di forza che, nell'ottica americana, deve garantire l'apertura costante dello Stretto di Hormuz, tra Iran e Oman, assicurare il transito regolare delle petroliere e tenere sotto osservazione un'area di grande tensione per gli interessi Usa, nonostante gli emirati e i regni arabi in quest'area siano tutti stretti alleati di Washington. A maggior ragione ora che la protesta delle popolazioni arabe scuote il Nordafrica e il Vicino Oriente. Non sorprende che una settimana fa il capo degli stati maggiori statunitensi, ammiraglio Mike Mullen, si sia recato a Manama a verificare di persona la stabilità della monarchia Khalifa mentre il presidente Barack Obama, sostenitore nelle settimane passate delle rivolte popolari in Libia, Tunisia ed Egitto, si è mostrato tiepido verso le aspirazioni alla democrazia dei bahraniti sciiti che protestano contro re Hamad.

Un altro compito per la base di Juffair, è la «sorveglianza anti-pirateria», ossia l'attività di contrasto ai pirati, in maggioranza somali, che attaccano mercantili e petroliere in navigazione verso il Mar Rosso. Ma si tratta di operazioni secondarie poichè l'avamposto Usa nel Bahrein era e rimane un tassello centrale nel complesso sistema militare di Washington nel Golfo. Schierando rapidamente i missili Patriot PAC-3 sui territori del Qatar, Dubai, Kuwait e Bahrein, l'Amministrazione Obama ha dato un segnale forte della volontà di rafforzare la propria posizione nella regione, stabilendo dei legami ancora più marcati rispetto al passato nell'ambito della cooperazione in tema di sicurezza. Il progetto di difesa nel Golfo è centrale per lo «scudo anti-missile» che ha in mente l'establishment politico-militare Usa e prevede un programma congiunto con l'Arabia Saudita per lo sviluppo di sistemi di difesa degli impianti petroliferi in un'ottica di contrapposizione con l'Iran.

L'USCENTCOM, il Comando Centrale delle Forze Usa, ha nella regione diverse basi: in Kuwait si trovano Camp Doha e Camp Arifjan, che insieme alla base aerea di Ali al-Salem, sempre in territorio kuwaitiano, sono i siti principali attraverso i quali sta passando il processo di ritiro americano dall'Iraq. In Qatar ci sono la base aerea di al-Udeid in Qatar e il comando centrale CENTCOM, che da anni svolge un ruolo centrale per le operazioni in Iraq e Afghanistan. Washington si prepara a spendere 213 milioni di dollari per espandere ulteriormente le sue basi nel Bahrein e negli Emirati Arabi Uniti. Investimenti ripagati ampiamente dalle monarchie e dagli emirati arabi che stanno spendendo in armi americane molte decine di miliardi di dollari (60 dei quali soltanto l'Arabia saudita).

«Il nostro paese non lascerà mai il Golfo, il nostro compito qui è soltanto all'inizio», dice il sottufficiale americano prima di ricongiungersi ai suoi commilitoni che intanto hanno già ordinato da bere. p>