5 maggio 2024
Aggiornato 23:31
Cina e Usa cercano cooperazione

Crisi coreana, è guerra psicologica

Tensione alta tra i due paesi. Seoul e Pyongyang si scambiano minacce

SEOUL - Per il momento la guerra è solo psicologica, ma la crisi nella penisola coreana iniziata il 26 marzo scorso con l'affondamento della corvetta sudcoreana «Cheonan» ha raggiunto i livelli più gravi dal 2004 ad oggi: fine delle relazioni bilaterali, minacce di mobilitazione, macchine della propaganda a pieno regime.

Seoul e Pyongyang sembrano di nuovo in rotta di collisione, complice anche un governo sudcoreano schierato su posizioni più intransigenti rispetto i suoi predecessori, fautori di quella «politica della luce del sole» che avrebbe dovuto portare alla riunificazione della penisola, poi naufragata a causa della mancata soluzione al dossier nucleare nordcoreano. Il presidente Lee Myung-bak ha riesumato la definizione di «principale nemico» riservata a Pyongyang fino al 2004, minacciando di chiedere nuove sanzioni al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e sospendendo ogni relazione commerciale fra i due Paesi; la radio sudcoreana ha ripreso le trasmissioni di propaganda, anche attraverso altoparlanti disseminati lungo la frontiera, una delle più militarizzate del mondo.

Per tutta riposta Pyongyang - che nega ogni responsabilità nell'affondamento della corvetta, nonostante le conclusioni contrarie della commissione di inchiesta multinazionale - minaccia la mobilitazione generale e rappresaglie di tipo militare in caso di ulteriori sanzioni del Consiglio di Sicurezza; i manager (non i lavoratori) dell'unica fabbrica co-gestita insieme i vicini meridionali sono stati espulsi dal Paese, che ha vietato a Seoul l'attraversamento dei propri spazi aereo e navale.

La situazione rischia di sfuggire di mano e apre un'ulteriore capitolo nelle relazioni fra Cina e Stati Uniti, riavvicinatisi sul dossier iraniano e alle prese con una difficile entente economica e finanziaria: la questione è stata discussa dal Segretario di Stato Hillary Clinton, in visita a Pechino, senza che al momento sia però stato varato alcun piano di azione al di là di una non meglio precisata «cooperazione». Sia Washington che Pechino sottolineano la necessità di mantenere la «stabilità» della penisola nordcoreana, segno anche che nessuno dei due Paesi ha un'idea chiara su come affrontare una eventuale crisi del regime di Kim Jong-il.