20 aprile 2024
Aggiornato 12:00
Accordo a 27

Vertice Ue: firmato accordo sul Recovery Fund a 750 miliardi, 390 di sussidi. All’Italia oltre 200 miliardi

I piani di spesa nazionali saranno approvati dalla Commissione e dal Consiglio Ecofin a maggioranza qualificata, e non ci sarà diritto di veto per nessuno

Ursula von der Leyer e Charles Michel
Ursula von der Leyer e Charles Michel Foto: ANSA

BRUXELLES - Sono le 5.31 del mattino di oggi, 21 luglio 2020 quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel scrive finalmente una sola parola sul suo account Twitter: «Deal!», «Accordo!». E il vertice Ue che ha prodotto questo risultato entra nella storia.

La nuova proposta di compromesso su «Next Generation EU», il Recovery Plan post Covid-19 da 750 miliardi di euro (390 di sovvenzioni e 360 di prestiti diretti agli Stati), e sul bilancio pluriennale 2021-2027 da 1.074,3 miliardi di euro (in impegni), è stata accettata da tutti i leader dei Ventisette, dopo quattro giorni di difficilissimi negoziati a Bruxelles. La stessa durata record del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, ma con ben altri risultati.

Per la prima volta, l'Unione europea emetterà titoli di debito comuni sul mercato (degli eurobond, anche se non si chiameranno così) per ben 750 miliardi di euro, per finanziare dei programmi comunitari, i cui interessi saranno pagati dal bilancio comunitario e che saranno rimborsati alla scadenza dallo stesso bilancio comunitario. E' una svolta senza precedenti, anche se si tratta di una iniziativa eccezionale, «una tantum» e limitata nel tempo, per rispondere a una crisi senza precedenti.

L'Olanda e gli altri paesi «frugali» (Danimarca, Svezia e Austria, con l'appoggio parziale della Finlandia), inizialmente contrari al principio stesso di emettere debito per finanziare delle sovvenzioni a fondo perduto, e non solo dei prestiti, a favore degli Stati membri, sono riusciti a modificare in modo rilevante ma non sostanziale l'accordo, che mantiene tutta la sua ambizione e la sua portata.

Rispetto alle precedenti proposte, della Commissione europea (27 maggio) e dello stesso Michel (10 luglio), l'accordo cambia notevolmente la proporzione fra sovvenzioni a fondo perduto ("grants"), che ammonteranno ora a 390 miliardi di euro, e prestiti diretti agli Stati ("loans"), pari a 360 miliardi. Il rapporto diventa quasi paritario (52 a 48).

Nella proposte della Commissione e nella precedente bozza negoziale di Michel, invece, il rapporto era 2 a 1 a favore dei «grants» (500 mld) rispetto ai «loans» (250 mld)

L'accordo lascia invariato l'ammontare totale del Piano di rilancio (750 miliardi), ma soprattutto viene rafforzato il suo fondo più importante, la «Recovery and Resilience Facility», che aumenta il suo «volume di fuoco», con il totale che passa da 560 miliardi (310 di sovvenzioni e 250 di prestiti) della proposta iniziale, a 672,5 miliardi (di cui 312,5 di «grants» e 360 di «loans").

Secondo le prime stime di fonti del governo l'accordo non dovrebbe penalizzare l'Italia. Dovrebbero diminuire di poco le sovvenzioni a fondo perduto, ma vi sarebbe anche un aumento sostanziale dei prestiti agevolati disponibili. La valutazione stima a circa 81,4 miliardi di euro le sovvenzioni che potrebbero essere assegnate all'Italia, rispetto agli 85,242 miliardi della prima proposta negoziale, con una riduzione di 3,842 miliardi.Per quanto riguarda i prestiti, si passerebbe dagli 88,584 miliardi della prima proposta a 127,4 miliardi, con un aumento di ben 38,816 miliardi di euro.

In generale, la riduzione totale di 110 miliardi nelle sovvenzioni di «Next Generation EU» comporta tagli di peso diverso nei vari programmi che compongono il Piano di rilancio, ma proprio il fatto che non venga ridotto (anzi, viene aumentato leggermente) l'ammontare dei «grants» nella «Recovery and Resilience Facility» (Rrf), spiega in gran parte perché l'Italia, che è il paese maggior beneficiario di questo fondo, non viene penalizzata.

Sul nodo della «governance», si è concluso come doveva concludersi il durissimo braccio di ferro fra il premier olandese Mark Rutte, che pretendeva un diritto di veto sulle decisioni riguardanti l'esborso dei fondi Ue a favore degli Stati membri, e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, intransigente fino alla fine nell'opporsi a questa pretesa e nel difendere gli equilibri fra istituzioni Ue e le prerogative della Commissione, che ha la competenza nell'esecuzione de bilancio.

Hanno vinto Conte, la Commissione e il diritto comunitario, mentre Rutte ha ottenuto solo dei bizantinismi ambigui dietro cui nascondere il suo nulla di fatto. I piani di spesa nazionali saranno approvati dalla Commissione e dal Consiglio Ecofin a maggioranza qualificata, e non ci sarà diritto di veto per nessuno, ma solo la possibilità di discuterli più a lungo, sospendendone l'approvazione per non più di tre mesi.

(con fonte Askanews)