Spread sempre sopra quota 200 senza una ragione precisa: la pistola alla tempia del ministro Tria
Il ministro Tria esprime concetti molto prudenti. Allontanandosi dal contratto di Governo, ma allungando la vita a Giuseppe Conte
ROMA - E' probabile che sul tavolo della partita economica il governo giallo-verde stia giocando con poche carte in mano e nemmeno un asso nella manica. Perché alla base del contratto di governo vi è lo sforamento dei parametri europei, perfino al di là del patto di Maastricht, lontanissimi dal pareggio di bilancio inserito – non senza molta confusione verbale – in Costituzione. Le promesse infatti sono massicce, come noto: si va dalla ridefinizione completa della tassazione su modello reaganiano-tatcheriano, fino ad un reddito di cittadinanza i cui contorni non sono ancora chiari, passando dalla riforma della Legge Fornero. Ma, in generale, si può dire che il patto di governo uscito dalle urne risponde ad una chiara domanda, anzi a una pretesa, dell'opinione pubblica: no all'austerità, basta con le manovre lacrime e sangue per le istituzioni. In una frase: più stato, meno libero mercato.
Tria non è Savona
La figura, ottuagenaria ma non priva di verve e coraggio, di Paolo Savona andava in questo senso. L'economista, nonché politico, dava la certezza che il suo operato sarebbe rimasto all'interno del perimetro europeo, ma con una dura presa di posizione contro il dogma dell'austerità imposto da Bce, Bundesbank e Angela Merkel. Savona, come noto, è stato sbalzato dallo spread più che dal Presidente della Repubblica, e al suo posto è arrivato il ministro Giovanni Tria, economista di chiara estrazione liberale, poco noto, ma con la fama di «tecnico». Ora si capisce la resistenza fatta dalla coppia Salvini-Di Maio. In un contesto dove le parole del governo assumono ogni giorno toni sempre più accesi, non ultima la promessa del ministro Toninelli di bloccare ben due grandi opere, la Torino Lione e il Terzo Valico ligure, il ministro Tria sviluppa settimana dopo settimana un profilo sempre più smarcato: non solo dai capi del governo pentaleghista, bensì dallo stesso contratto di governo. Tria non parla mai ai giornali, non fa annunci, tiene un profilo basso, lontano dal clamore e soprattutto dallo scontro.
In bilico tra i conti
Il ministro, ovviamente, si barcamena: chiede, nel suo intervento alla Camera, lo stop dell'aumento dell'Iva da 12,4 miliadi, ma sostiene che resta «imprescindibile il calo del debito pubblico». Passaggio doveroso, il minimo sindacale. Ma poi traccia la via della moderazione. La riduzione del debito pubblico va proseguita, dice. «È un’evoluzione che è bene non mettere a repentaglio – ha detto Tria – perché il consolidamento di bilancio e una dinamica decrescente del rapporto debito-Pil sono condizioni necessarie per rafforzare la fiducia dei mercati finanziari, fiducia che è imprescindibile per la tutela delle nostre finanze pubbliche, dei risparmi degli italiani, nonché per la stabilità della crescita». Il governo agirà «in modo da prevenire ogni aggravio per la finanza pubblica». Il richiamo al primato dei mercati finanziari mostra una netta dicotomia con il suo potenziale predecessore, Paolo Savona. Sembra di ascoltare le parole di un Siniscalco/Padoan: equilibrate, ma soprattutto volte a rendere non belligeranti i fondi di investimento che hanno in mano il debito pubblico del Paese.
Una minaccia continua, ipersensibile
Debito pubblico che, a poche settimane dalla fine del Quantitative Easing di Mario Draghi, rimane sotto pressione per via della pistola carica puntata alla tempia che prende il nome di spread: il quale, al di là di ogni razionalità economica, continua a veleggiare ben oltre quota duecento. Una minaccia continua, ipersensibile, a cui il ministro Tria risponde con moderazione. Manciate di centinaia di milioni di euro aggiuntivi, per via degli interessi maggiori: la punizione per uno psico reato perpetrato all'inzio del percorso governativo quando il duo Salvini-Di Maio tentò di imporre Savona. Certo, il ministro non opera da solo: e la pressione per un «nuovo paradigma economico», fortemente voluto dal capo del governo Giuseppe Conte, è volta a sparigliare le carte. Ma come? Il governo Conte intende aprire con la Commissione Ue una trattativa per ottenere maggiori spazi di flessibilità sul deficit e un rinvio del pareggio di bilancio al 2021. Attualmente è programmato per il 2020. Ma di quanto si parla? In caso di realizzazione piena delle proposte elettorali, lo sforamento del rapporto deficit/Pil sarebbe pari al 9.5%. Una cifra fuori scala, ovviamente.
Quale piano per gli investimenti
«Il sistema delle regole di bilancio non favorisce le spese per investimenti pubblici, mentre consente persistenti squilibri di partite correnti, dannosi al funzionamento dell’intera area», ha sostenuto il ministro. Il governo chiederà di calcolare la spesa per investimenti diversamente da quella corrente. Ciò permetterebbe di modificare anche il calcolo del debito. Altro tema, strettamente collegato al primo, è «un significativo piano europeo per gli investimenti». Da molto tempo invocato dall’Italia, mai ottenuto fino ad oggi. Ma se concessioni in sede europea, anche per venire incontro al braccio di ferro imposto da Salvini sul tema dei migranti, potrebbero giungere per quanto concerne il calcolo degli investimenti, relativamente alla spesa corrente le prospettive sono assai diverse. E in questo campo rientrano flat tax, che poi tale non è dato che mantiene due aliquote seppur sforbiciate, e reddito di cittadinanza. Per non parlare della «rimodulazione» della legge Fornero.
O moderazione, o scontro
Le prospettive quindi non sono rosee sul piano economico: o l'Italia ricomincia a crescere nell'ordine del 4% annuo, minimo, e quindi con un tale surplus – alla tedesca per intenderci – incide sul debito, oppure si tratta di continuare a stringere la cinghia, facendo buon viso a cattivo gioco. Oppure si rompono i patti di stabilità e si va allo scontro diretto con i mercati, la Bce e l'Unione Europea, seppur all'interno del perimetro della moneta unica (Tria ha subito fatto sapere che l'euro non è in discussione). Il progetto sociale del governo giallo-verde prevede che nelle tasche dei cittadini con alta propensione al consumo, ovvero la classe media impoverita da quindici anni di austerità, torni qualche euro per via diretta. Tria vuole spostare questo flusso dalla spesa corrente a quella per investimenti.
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