1 maggio 2024
Aggiornato 23:00
Preoccupano le tensioni in Cina

Migliora (nei numeri) il mercato del lavoro americano, e la FED resta sull'attenti

Le pressioni inflative sui salari restano al palo, per questo il mercato scommette che la Federal Reserve procederà con cautela nel portare avanti la normalizzazione della sua politica monetaria, iniziata lo scorso dicembre con il primo rialzo dei tassi dal giugno 2006.

NEW YORK - Il mercato del lavoro negli Stati Uniti continua a migliorare ma le pressioni inflative sui salari restano al palo. Per questo il mercato scommette che la Federal Reserve procederà con cautela nel portare avanti la normalizzazione della sua politica monetaria, iniziata lo scorso dicembre con il primo rialzo dei tassi dal giugno 2006. Ad alimentare questa tesi sono anche le tensioni registrate in questo inizio 2016 sui mercati finanziari globali e ancora una volta provocate dalla Cina. Nella seconda economia al mondo l'azionario è stato protagonista di poderosi sell-off lunedì e ieri riaccendendo così i timori di un rallentamento congiunturale peggiore del previsto e di una incapacità delle autorità di Pechino di gestire una transizione verso un'economia meno dipendente dalle esportazioni. Si tratta di un quadro che la banca centrale americana non può ignorare e di cui ha discusso nell'ultima riunione del 2015. Dai verbali infatti sono emerse una serie di preoccupazioni, «inclusa la possibilità che un apprezzamento ulteriore del dollaro e una debolezza persistente dei prezzi delle materie prime possa aumentare la pressione sulle economie emergenti e che la Cina trovi difficile navigare i cambiamenti strutturali e ciclici in corso nella sua economia».
Il mese scorso in Usa sono stati creati 292.000 posti di lavoro, ben oltre le stime pari a 210.000. Il dato dei due mesi precedenti è stato inoltre rivisto al rialzo per complessivi 50.000 posti. Per l'intero 2015, in media sono stati creati mensilmente 221.000 posti contro i 260.000 del 2014. Per gli Usa, è stato comunque il 63esimo mese consecutivo con la crescita dell'occupazione.

Più persone hanno trovato un impiego
Il tasso di disoccupazione è rimasto al 5% per il terzo mese di fila e il numero di disoccupati è sostanzialmente invariato a 7,9 milioni. La partecipazione della forza lavoro è salita al 62,6% con più persone che hanno trovato un impiego. La percentuale è tuttavia vicina ai livelli degli anni '70, in parte perché i cosiddetti baby boomer stanno andando in pensione e alcuni sono così scoraggiati da avere rinunciato alla ricerca di un'occupazione. Questo trend iniziò negli anni 2000 ma si è accentuato durante la recessione.
Jeffrey Lacker, presidente della Federal Reserve di Richmond, sostiene che il rapporto sull'occupazione dimostra una «crescita molto forte» e che i numeri in esso contenuti sono «abbastanza solidi».

L'inflazione scarseggia
Eppure i trader - specialmente quelli di Treasury, generalmente più cauti di quelli che operano nell'azionario - fanno notare che l'inflazione scarseggia. A 25,24 dollari, i salari orari a dicembre sono scivolati di 1 centesimo dopo l'incremento di 5 centesimi di novembre ma su base annuale sono saliti del 2,5%. Si tratta sì dell'incremento annuale maggiore dell'anno, ma è comunque sotto i livelli visti prima della recessione. Con un mercato del lavoro in cui diventa difficile trovare alcune figure professionali, molti economisti si aspettano un miglioramento che per il momento stenta a concretizzarsi.
Ecco perché i tassi in Usa non dovrebbero crescere rapidamente, anche perché è ancora presto per dire se il rallentamento dell'economia cinese e globale frenerà anche quella americana.