28 marzo 2024
Aggiornato 09:30
Consumi alimentari

Cala la spesa per la tavola

Quattro famiglie su dieci costrette a “tagliare” i consumi, sei su dieci cambiano menù. Cresce l’acquisto di prodotti di qualità inferiore

ROMA - Indagine della Cia: la crisi impone nuove abitudini alimentari. I dati del primo semestre 2010 parlano chiaro. Per il carrello si spende sempre di meno: 461 euro al mese per ogni nucleo familiare (una flessione del 3 per cento). I «discount» diventano una delle mete preferite dai consumatori. Motivo: si risparmia rispetto alla tradizionale catena distributiva. Meno pane, pasta e carne bovina. Crescono, di poco, gli acquisti di frutta, carne suina e avicola, di latte e suoi derivati. Le vendite non riescono a decollare. A fine anno si prevede un’ulteriore stagnazione.

La crisi economica «rivoluziona» la tavola degli italiani. La spesa per i consumi alimentari diminuisce del 3 per cento (più al Centro con un meno 4 per cento). Quattro famiglie su dieci sono state costrette a «tagliare» gli acquisti, mentre sei su dieci hanno modificato il menù. Il 36 per cento per cento è stato obbligato, a causa delle difficoltà, a scegliere prodotti di qualità inferiore. Il 32 per cento ormai compra solo «promozioni» che sono sempre più frequenti nel comparto agroalimentare. E i «discount», dove si spende di meno, sono diventati una delle mete preferite dei consumatori. E’ quanto risulta da una ricerca della Cia-Confederazione italiana agricoltori elaborata sulla base delle rilevazioni territoriali delle sue strutture e dei dati Istat e Ismea. L’indagine -relativa ai primi sei mesi del 2010 e i raffronti sono riferiti allo stesso periodo del 2009- è stata presentata a Lecce durante i lavori della quarta Conferenza economica.

Per quanto riguarda i «tagli», si riscontra che -evidenzia l’indagine Cia- il 41,4 per cento delle famiglie italiane ha ridotto gli acquisti di frutta e verdura, il 37 per cento quelli di pane e il 38,5 per cento quelli di carne bovina.
Nella ripartizione geografica, si nota che al Nord il 32 per cento delle famiglie ha limitato gli acquisti (il 39 per cento ha ridotto le «voci» pane e pesce). Al Centro la percentuale di chi ha tagliato i consumi sale al 37 per cento (il 38 per cento ha ridotto il pane, il 46 per cento il pesce, il 42 per cento la carne bovina); mentre nelle regioni meridionali si arriva al 51 per cento (il 38 per cento ha ridotto il pane e il 56 per cento la carne bovina).
Per quanto concerne la scelta di prodotti di qualità inferiore, l’orientamento delle famiglie, a livello nazionale, ha riguardato il pane per il 40,2 per cento, la carne bovina per il 46,2 per cento, la frutta per il 44,5 per cento, gli ortaggi per il 39,7 per cento, i salumi per il 32,5 per cento.

Per riempire il carrello alimentare ogni famiglia italiana ha speso in media al mese 461 euro. Una spesa -che rappresenta il 18,9 per cento di quella totale e raggiunge complessivamente i 146 miliardi di euro l’anno- assai diversificata per aree geografiche: al Nord -afferma la Cia- è stata pari a 455 euro, al Centro a 472 euro, al Sud a 463 euro.
La percentuale della spesa destinata all’alimentazione varia, tuttavia, tra le classi sociali e per condizione di lavoro. Gli imprenditori e i liberi professionisti -come si rileva anche dall’ultima indagine Istat- spendono per imbandire le loro tavole il 15 per cento della spesa totale, i lavoratori autonomi il 18,7 per cento, i dirigenti e gli impiegati il 16,1 per cento, gli operai il 20,3 per cento; mentre per i pensionati la percentuale è del 22,1 per cento.
Dalla ricerca della Cia risulta che nelle regioni del Mezzogiorno alla spesa alimentare è destinata più di un quinto di quella totale. Percentuale che scende sia al Centro che al Nord. Più nel dettaglio, si riscontra che la Campania guida la classifica della spesa per acquisti di prodotti agroalimentari (26,5 per cento del totale). Seguono Calabria (24,5 per cento), Sicilia (24,4 per cento), Puglia (24,1 per cento), Sardegna (22,7 per cento), Basilicata (22,1 per cento). Al Centro si va dal 21,9 per cento dell’Abruzzo al 18,4 per cento della Toscana. Al Nord le percentuali sono molto più basse: dal 19,6 per cento della Liguria al 18,4 per cento del Piemonte, dal 16,1 della Lombardia, dal 15,6 per cento del Veneto al 15,1 per cento del Trentino Alto Adige.

La percentuale del 18,9 per cento della spesa alimentare su quella complessiva è così ripartita: 3,3 per cento pane e cereali, 4,3 per cento carne, 1,6 per cento pesce, 2,6 per cento latte, formaggi e uova, 0,7 per cento oli e grassi, 3,4 per cento frutta, ortaggi e patate, 1,3 per cento zucchero, caffé, tè e altri, 1,7 per cento bevande.
Insomma, sulla spesa alimentare hanno inciso maggiormente gli acquisti di carne che, nonostante il calo dei consumi, registrano 31,5 miliardi di euro, di pane e dei trasformati dei cereali (26,3 miliardi di euro), degli ortofrutticoli (24,2 miliardi di euro), dei lattiero-caseari e delle uova (18 miliardi di euro).
I livelli e la composizione della spesa alimentare dipendono, comunque, in misura rilevante dalla dimensione familiare. Un diverso numero di componenti determina -come rileva l’Istat- un differente budget. La spesa media mensile totale varia da un minimo di 1.692 euro per le famiglie composte da un solo individuo a un massimo di 3.242 euro per quelle di cinque o più componenti. Tra queste ultime famiglie si osserva la quota di spesa più elevata per i generi alimentari: il 21,8 per cento contro il 17,9 per cento delle famiglie di un solo componente.

Le famiglie di anziani hanno livelli di spesa decisamente più bassi di quelli delle famiglie con a capo un giovane o un adulto: circa i due terzi della spesa sono destinati al cibo e alla casa. Una quota superiore al 5 per cento è, infine, assorbita dalle spese per la salute e i servizi sanitari.
Le famiglie più giovani, single e coppie con persona di riferimento di età inferiore ai 35 anni, si caratterizzano per una contenuta quota di spesa totale destinata ai generi alimentari e bevande (inferiore al 16 per cento). Al contrario, le coppie giovani spendono di più per arredamenti, elettrodomestici, servizi per la casa (7,7 per cento) e per spostamenti e comunicazioni, queste ultime superano, addirittura, il 20 per cento.
Nei primi sei mesi del 2010 è aumentata la percentuale di famiglie che ha acquistato prodotti agroalimentari presso gli hard-discount (dal 9,8 del 2009 al 10,6 per cento). Comunque, gli iper e i supermercati restano i punti vendita dove si ha la maggiore concentrazione degli acquisti da parte degli italiani con il 68,4 per cento (specialmente nel Centro-Nord con il 73 per cento). A seguire il negozio tradizionale (64,9 per cento), in particolare nel Sud (77,1 per cento). Da rilevare che per la spesa nei mercati rionali ha optato il 21,4 per cento delle famiglie residenti nel Centro-Nord e il 31,9 per cento quelle delle regioni meridionali.

Dai dati emersi dalla ricerca e in base alle tendenze oggi in atto, le previsioni per la spesa alimentare nel 2010 evidenziano -secondo le prime stime della Cia- consumi ancora al palo. Si hanno, sotto il profilo della quantità, flessioni del 2,3 per cento per la carne bobina, dell’1 per cento per i prodotti ittici, dello 0,4 per cento per gli ortaggi, dello 0,5 per cento per i vini e gli spumanti, dell’1,8 per cento per il pane, del 2,1 per cento per la pasta. Dovrebbero, invece, risultare in crescita le carni suine e i salumi (più 0,7 per cento), le carni avicole (più 0,5 per cento), la frutta (più 0,8 per cento), l’olio d’oliva (più 1,8 per cento) il latte e i suoi derivati (più 0,8 per cento).
Dalla fotografia della Cia sui consumi alimentari, si rileva che la famiglia italiana acquista con maggiore consapevolezza e attenzione al prezzo, con l’obiettivo di spendere al meglio le risorse disponibili. Si cercano alternative più convenienti, si rincorrono, appunto, le promozioni, si compra in punti vendita dove gli stessi prodotti si trovano a prezzo più basso, si guarda con interesse a saldi, sconti, offerte. Si punta, quindi, al prezzo più basso. E così l’indice degli acquisti domestici resta al palo.