28 marzo 2024
Aggiornato 10:00
Rischi a tavola

Il 55% degli italiani mangia cibi scaduti

In particolare nel caso degli spaghetti che - sottolinea la Coldiretti sono il piatto più tradizionale degli italiani la percentuale degli italiani che li buttano nel bidone scende al 30 per cento mentre la stragrande maggioranza del 70 per cento li porta in tavola dopo averne verificato le condizioni.

ROMA - La maggioranza degli italiani per una percentuale del 55 per cento mangia gli alimenti oltre il limite di tempo indicato nelle confezione se la stessa non è danneggiata e se il prodotto sembra comunque in buono stato. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Eurobarometro del settembre 2015 dai quali emerge che solo il 32 per cento li getta via e l'11 per cento decide in base al tipo di alimento, mentre il 2 per cento non risponde. In particolare nel caso degli spaghetti che - sottolinea la Coldiretti sono il piatto più tradizionale degli italiani la percentuale degli italiani che li buttano nel bidone scende al 30 per cento mentre la stragrande maggioranza del 70 per cento li porta in tavola dopo averne verificato le condizioni.

A guidare i comportamenti degli italiani - sostiene la Coldiretti - è la scarsa conoscenza delle informazioni fornite in etichetta con riguardo alla scadenza dei prodotti ed in particolare in merito al diverso significato tra «da consumarsi preferibilmente entro il..» e «da consumarsi entro». In particolare per quest'ultimo termine ben il 27 per cento ha comportamenti diversi a seconda del tipo di alimento mentre il 20 per cento ritiene erroneamente che il cibo può essere consumato anche dopo la data indicata ma potrebbe non essere alla massima qualità. Invece - rileva la Coldiretti - la dicitura «da consumarsi entro..» è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può piu' essere posto in commercio. Tale data di consumo - precisa la Coldiretti - non deve essere superata altrimenti ci si puo' esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). E' indicata dal giorno, il mese ed eventualmente l'anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni.

Discorso diverso - continua la Coldiretti - merita invece il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura «Da consumarsi preferibilmente entro» che indica - sottolinea la Coldiretti - la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà organolettiche e gustative, o nutrizionali specifiche in adeguate condizioni di conservazione, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto, quale il sapore, odore, fragranza, ecc.

La durata viene stabilita autonomamente dagli stessi produttori, in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione per finire con l'imballaggio. Per questo, non è difficile, durante un controllo commerciale, vedere due prodotti simili, ma di marchio differente con un termine minimo di conservazione diverso. E' infatti compito di ogni singola azienda effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale.

Il risultato è ad esempio che - continua la Coldiretti - per l'olio d'oliva extra vergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell'università di Milano. Tali ricerche evidenziano come gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano - conclude la Coldiretti - da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l'alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima.