28 marzo 2024
Aggiornato 23:30
Indagine esclusiva di Confagricoltura

Tensioni internazionali sui prezzi degli alimentari

C’è il rischio di una bolla speculativa, non giustificata dalla realtà dei mercati

ROMA - Attenti alla bolla. L’autunno porta segnali che le famiglie italiane avvertono con preoccupazione, così come i mesi estivi sono stati caratterizzati dagli squilibri dei mercati di alcuni prodotti - dai cereali, al pomodoro - che hanno provocato malumori tanto tra gli agricoltori che tra gli operatori della trasformazione.
Questo mentre i rappresentanti della Gdo hanno già fatto sapere che eventuali rincari dei prodotti agricoli e agroindustriali saranno accettati «solo se giustificati dalla reale situazione di mercato». I comparti maggiormente sotto osservazione sono carni, latte, ancora i cereali con relative farine derivate e, di nuovo, il pomodoro.

Ma il fatto è che i prezzi al consumo degli alimentari sono praticamente fermi da inizio 2010 mentre quelli medi complessivi risultano in costante crescita (+0,2% ad agosto su luglio secondo gli ultimi dati Istat). Anzi, il mese scorso, i listini di vegetali, frutta e oli sono diminuiti rispettivamente dell’1,2%, 0,1 e ancora 0,1%.
Questo significa che l’agricoltura contribuisce sempre più a frenare l’inflazione contenendo i prezzi dei generi alimentari, un fenomeno possibile perché i listini agricoli sono in continua flessione da gennaio ad oggi (con la sola eccezione del mese di giugno in cui l’indice Ismea ha registrato una variazione congiunturale positiva del +8,6% subito però smorzata dal -4,8% di luglio e dal -1,4% di agosto. Insomma gli agricoltori restano ancora in attesa di un recupero dei prezzi all’origine (come si è iniziato a registrare nel settore dei cereali), per compensare l’andamento dei costi di produzione così da ripristinare la redditività del settore.

Quindi ha un senso la tensione che rischia di sfociare in una «bolla alimentare» speculativa sui mercati?

«La situazione - spiega il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni - è decisamente diversa rispetto a quella del 2007-2008. Per i cereali, ad esempio, allora la scarsità dei raccolti fu ripetuta e diffusa, mentre quest’anno mancano all’appello 37 milioni di tonnellate di frumento, ma nel complesso secondo le stime della Fao i raccolti di cereali del 2010 consentiranno di superare la soglia dei 2.200 milioni di tonnellate di cereali che farà del raccolto di quest’anno il terzo di tutti i tempi. Lo squilibrio tra produzione e fabbisogno riguarda solo il frumento, con un probabile ricorso all’ampia dotazione di scorte per superare la carenza. Gli aumenti, ampiamente prevedibili, registrati sinora sui prezzi dei cereali in Italia rientrano quindi nelle dinamiche di mercato che rispecchiano questa situazione, ma non si può certo parlare di situazione allarmante. Anche per pomodoro e latte vaccino l’andamento di lungo periodo dei prezzi medi annuali non mostra anomalie di rilievo».

«La questione a questo punto - prosegue Vecchioni - è se ci sono i presupposti per innescare una spirale tra costi e prezzi che porti rapidamente ad aumenti delle quotazioni ben più consistenti magari ai danni dei consumatori. In complesso si direbbe di no. E’ vero che la domanda, specie dei Paesi emergenti tenderà a crescere, ma sinora la capacità di reazione dei sistemi agricoli mondiali sembra in grado di mantenere l’equilibrio. Inoltre il prezzo del petrolio rimane sotto gli 80 dollari al barile, decisamente lontano dai picchi del 2007-2008 quando si superò abbondantemente «quota 100» e si temeva che avrebbe raggiunto i 200 dollari al barile. Piuttosto vedremo se a lungo termine il potenziale produttivo consentirà di far fronte alla maggiore domanda soprattutto dei Paesi in via di sviluppo. Da qui al 2050, in pratica, servirà produrre ogni anno oltre un miliardo di tonnellate di cereali e 233 milioni di carni in più rispetto alle attuali performance, con un tasso medio di crescita annuo dell’1,3% per i cereali e del 2,1% per le carni. La maggior parte dell’incremento produttivo sarà concentrato, appunto, nei Paesi emergenti, dove si avrà il 70% circa dell’aumento della produzione cerealicola e quasi il 90% della maggior produzione di carni».

«Occorre comunque sempre vigilare sul mercato delle commodity e su quello dei derivati finanziari - avverte il presidente di Confagricoltura - visto che l’oro ha raggiunto ieri il suo massimo storico a 1312 dollari l’oncia, segno che c’è voglia di investire in beni sicuri, anche per cautelarsi dal dollaro indebolito. Questo può essere un campanello d’allarme per i derivati finanziari, che amplificano, come successo in passato, i prezzi delle materie prime agricole. Va pure tenuto d’occhio il mercato dei fertilizzanti che dall’inizio dell’anno è in tensione, con i prezzi in decisa crescita proprio dall’impennata delle quotazioni dei cereali tra luglio e agosto. Una tendenza che gli analisti prevedono proseguirà nei prossimi mesi e se si verificassero aumenti anche per le sementi verrebbe in gran parte eroso il margine realizzabile dei cerealicoltori in virtù dei prezzi più elevati di questo inizio campagna».

In Italia, in particolare, il problema appare essere quello della tenuta dei consumi. che nel 2009, complice anche la crisi economica, per la prima volta dal 1970, sono calati del 2% circa in valore corrente. Un effetto anche della tenuta dei prezzi al consumo che non hanno ceduto all’inflazione. Ma ne hanno risentito gli agricoltori.

«Negli ultimi quindici anni i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti in media per anno più dei prezzi all’origine dei prodotti agricoli – ricorda Vecchioni - e nello stesso periodo i costi di produzione sono aumentati con una dinamica ancora maggiore, sia a livello italiano sia europeo. In pratica l’aumento contenuto dei prezzi all’origine dei prodotti agricoli non ha impedito che i prezzi al consumo degli alimentari registrassero incrementi più consistenti. Mentre i redditi delle imprese agricole venivano erosi dall’aumento più rapido dei costi di produzione. Il risultato è che il reddito degli agricoltori italiani si è ridotto del 21% dal 2008 al 2009 e addirittura del 36% dal 2000 al 2009. Questo richiama alla necessità di puntare maggiormente sul settore agricolo anche con politiche adeguate a livello comunitario e nazionale. Su quest’ultimo piano occorre pure una maggiore tensione politica per riorganizzare la produzione, evitare il persistere dello squilibrio lungo la filiera che non favorisce certo la fase primaria, valorizzare il prodotto agricolo e ridurre i costi, ad esempio quelli del lavoro, e generare nuovo valore sulla filiera stessa con politiche fiscali, previdenziali e di settore per tutti i protagonisti del comparto alimentare».

«Ma soprattutto - insiste Federico Vecchioni - serve maggiore realismo sulle misure che davvero occorrono al settore. Ad esempio: l’etichettatura d’origine obbligatoria, se applicata solo in Italia, paradossalmente rischia di divenire un vincolo competitivo in più per le nostre produzioni. Con oneri che possono ribaltarsi sull’anello più debole della catena: gli agricoltori. Se ne può discutere, ma in un’ottica europea. Altrimenti avremo un ostacolo in più nel mercato unico ed avremo fatto un regalo ai nostri concorrenti che non sarebbero assoggettati a questo tipo di obbligo».