20 aprile 2024
Aggiornato 13:00
Editoriale

Pomigliano, Indesit, l’interim e i nodi dell’occupazione

Mentre un giovane su quattro non trova lavoro si inasprisce il dialogo fra imprese e sindacati

ROMA - Sono in molti in Italia a chiedere un nuovo patto sociale per rilanciare il lavoro e uscire dalla crisi. Ma sono ben pochi quelli che fanno seguire alle parole i fatti.

Partiamo dai dati forniti ieri dall’Istat sull’occupazione.
Fa bene il ministro Sacconi a ricordare che la disoccupazione in Italia è al di sotto della media europea. Ma fa male a concentrare tutta l’attenzione sui paragoni con chi sta peggio di noi senza dedicare una sola parola a spiegarci come intende risolvere il problema di quei 172 mila lavoratori italiani che hanno perso il lavoro nel mese di luglio ( sempre dati Istat di ieri) e che ora hanno portato a 2 milioni e 105 mila il numero di coloro che sono in cerca di occupazione.
Inoltre preoccupa il silenzio assoluto del ministro in televisione su una dato che più degli altri dovrebbe inquietare il governo e l’intero Paese: la disoccupazione fra i giovani è salita al 26,8 per cento.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma fare finta di niente si può?

Passiamo ai sindacati:
Guglielmo Epifani ha bocciato la proposta di Sergio Marchionne di smetterla di guardare alle relazioni sindacali come ad una guerra fra operai e padroni. «Siamo tutti sulla barca- ha detto in sostanza Marchionne – partiamo quindi dal principio che bisogna cominciare a remare tutti verso la stessa direzione».
La Cgil ha tutto il diritto di rifiutare la mano tesa dell’amministratore delegato della Fiat, ma poi ha anche il dovere di dire quali altri percorsi intende far seguire ai suoi associati.
Quello che ieri il leader della Fiom, Maurizio Ladini, ha ricordato ai lavoratori davanti ai cancelli della fabbrica di Melfi è vero: «Il contratto collettivo nazionale è stato firmato da tutti sindacati, anche dalla Cgil nel 2008- ha detto Landini- ed è in vigore fino al 2011».
Landini ha anche ragione nell’affermare che ora Marchionne sta chiedendo di rimettere in discussione alcuni punti di quell’accordo.
Ma invece di arroccarsi in un difesa ad oltranza di conquiste (anche se sacrosante) che oggi potrebbero rivelarsi inattuabili, non sarebbe meglio che la Cgil verificasse la sostenibilità delle richieste della Fiat? Non sarebbe meglio chiedersi se a fronte di un sacrificio fatto oggi, i lavoratori potranno, domani, godere di una maggiore di una maggiore tranquillità sul loro futuro?
Per quanto riguarda i sacrifici richiesti ai lavoratori, Epifani potrebbe inoltre giovarsi di un metodo infallibile per misurare la sostenibilità del peso che le richieste di Marchionne vogliono far cadere sulle spalle dei lavoratori: confrontare le condizioni richieste dalla Fiat con quelle in cui operano i metalmeccanici tedeschi, francesi o americani.
E’ solo così che potremmo giudicare se le proposte di Marchionne sono schiaviste, come dice la Fiom, o accettabili come sostengono la Cisl di Bonanni e la Uil di Angeletti.
Se Epifani decidesse di uscire dalla trincea avrebbe inoltre tutte le ragioni di chiedere fin d’ora a Marchionne: «Dopo avere accettato di remare nella stessa direzione, vogliamo discutere anche di come verranno ridistribuiti i premi, una volta giunti alla meta?».
La strada che Epifani finora ha deciso di percorre porta invece unicamente alle forzature che sono alla base dei tre licenziamenti di Melfi o al blocco da parte sindacati (stavolta c’è anche la Cisl) dei magazzini della Indesit di Brembate che sta riproducendo negli stabilimenti dei Merloni il modello Pomigliano, con tutte le sue conseguenze.

L’interim del ministero dello Sviluppo
Le possibilità sono due: o il ministero dello Sviluppo è inutile, e allora sarebbe sensato chiuderne i battenti, ridistribuirne le competenze agli altri dicasteri, con il risultato di risparmiare un bel po’ di quattrini.
O è utile, allora il governo si sta privando di uno strumento indispensabile proprio nel momento in cui ne dovrebbe avere più bisogno.
In ogni caso, quella che ogni giorno diventa meno credibile è la figura di un presidente del Consiglio onnisciente.
L’immagine di un Berlusconi tirato da tutte le parti per la giacchetta che non riesce a fare un ministro a causa dei veti dei suoi alleati o per la paura di rompere gli equilibri interni alla maggioranza indebolisce il suo governo, oltre a fare un danno al sistema industriale del Paese.