19 maggio 2024
Aggiornato 05:00
Campagne in grave crisi

Un agricoltore su tre teme di chiudere l’azienda

Costi troppo opprimenti e prezzi in caduta libera Il 60 per cento delle imprese denuncia bilanci “in rosso”

ROMA - Un agricoltore su tre teme di essere costretto a chiudere la propria azienda a causa delle grandissime difficoltà (costi produttivi, contributivi e burocratici eccessivi, prezzi sui campi in caduta libera, redditi in crollo record) che incontra; sei su dieci segnalano conti «in rosso», il 96,3 per cento ritiene totalmente insufficienti per l’agricoltura i provvedimenti varati negli ultimi due anni, mentre il 34,8 per cento si dichiara scoraggiato e pensa addirittura ad un abbandono dell’attività produttiva. Per il 95,6 per cento l’attuale situazione di profonda crisi che sta investendo il settore primario, sempre più in emergenza, rischia di protrarsi ulteriormente e difficilmente si riuscirà a superare nel giro di tre-quattro anni. Il 75 per cento incontra difficoltà nella richiesta di credito. E’ quanto risulta da un’indagine compiuta dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori sull’intero territorio nazionale sull’indice di fiducia degli imprenditori agricoli davanti alla complessa congiuntura che sta penalizzando il mondo agricolo del nostro Paese.

L’indagine della Cia -di cui sono stati anticipati alcuni risultati in occasione del grande sit-in di oggi a Roma davanti alla Camera dei Deputati- conferma pienamente la gravità dei problemi che attanagliano le campagne italiane. La quasi totalità dei produttori interpellati (oltre il 97 per cento) punta l’indice sui costi (produttivi e contributivi) divenuti insostenibili, sulla burocrazia che toglie risorse e soffoca ogni iniziativa, sui prezzi che sui campi che nell’ultimo anno sono crollati. Praticamente, in moltissime realtà agricole si produce sottocosto. E’ emblematico il caso dei cereali, dove i listini sono diminuiti anche del 20 per cento, con punte del 40-45 per cento per il grano duro.

La situazione -si rimarca nell’indagine condotta dalla Cia- è, comunque, allarmante un po’ per tutti gli altri comparti, dalla vitivinicoltura all’ortofrutta, dall’olivicoltura alla zootecnia, al lattiero-caseario. A conferma di ciò il 75,6 per cento degli agricoltori intervistati ha dichiarato che quest’anno ha compiuto solo le spese necessarie per l’impresa, ma nessun tipo di investimento innovativo. L’85,7 per cento ha avuto enormi difficoltà per gli adempimenti burocratici, mentre il 25,8 per cento è stato costretto a modificare la propria attività produttiva, in quanto la precedente era totalmente in perdita. Una percentuale che ha riguardato soprattutto i produttori di grano duro che hanno preferito altri tipi di colture perché remunerative.

Sempre secondo i risultati scaturiti dall’indagine della Cia, il 97,4 per cento dei produttori agricoli interpellati vorrebbe misure molto più incisive da parte del governo. Tra le principali richieste, interventi per ridurre i costi produttivi, agevolazioni a sostegno dei redditi, fiscalizzazione degli oneri sociali (richiesta che viene in particolare da chi opera in zone svantaggiate e di montagna), riduzioni fiscali sul gasolio e sui mezzi di produzione, gli incentivi per i giovani, un più facile accesso al credito.

Il futuro molto incerto dell’agricoltura italiana viene determinato, per l’85,5 per cento degli intervistati, anche dall’attuale politica agricola europea che continua a mostrare troppi squilibri. Le decisioni prese a Bruxelles -si rileva nell’indagine Cia- vengono giudicate, per l’83,2 per cento, insufficienti per ridare impulso al settore. Il 76,9 per cento, invece, ripone molta fiducia nel Trattato di Lisbona, in quanto -viene sottolineato- si avrà un maggiore potere da parte del Parlamento di Strasburgo, il cui operato viene giudicato positivamente dal 72,3 per cento degli intervistati.