28 aprile 2024
Aggiornato 13:30
I titoli di Stato a breve più graditi del conto corrente in banca

Tre motivi per investire in Bot a rendimento zero

I grandi capitali continuano a non trovare sbocchi nell’economia reale

Molti si chiedono giustamente come mai ci sia questa corsa ai Bot, nonostante il loro rendimento sia tecnicamente negativo e solo grazie all’intervento del Tesoro diventi pari allo zero.
Sono tre i motivi di questa apparentemente strana condotta degli investitori.

Il primo è che in giro c’è molta liquidità. Può essere considerato un elemento positivo? Certamente no.
I soldi che girano non sono frutto di crescita economica, ma sono quelli usciti dalle tasche dei governi che, per frenare la valanga provocata dalla crisi hanno immesso nel circuito una montagna di quattrini. In alcuni casi come la Gran Bretagna (che lo ha ammesso) o come gli Stati Uniti (che invece hanno taciuto sul punto) per coprire i buchi della finanza hanno anche battuto moneta.
A correzione del giudizio negativo sulla presenza ingente di questa liquidità c’è da aggiungere che in non poche circostanze l’esposizione dei governi si è dimostrata superiore alle necessità.
In altri casi è riuscita a riportare a galla grandi istituzioni finanziarie prima del tempo e addirittura a restituirle a grandi utili, come hanno dimostrato alcune importanti banche americane.
Quindi il risultato è che ci sono quattrini in eccesso da collocare.

Il secondo motivo non più rassicurante del primo. Gli investitori, soprattutto grandi capitali e investitori istituzionali, dovendo parcheggiare i loro soldi per un periodo breve (stiamo parlando dei Bot a tre mesi) e in attesa di orientamenti futuri, fanno capire che preferiscono affidare i soldi allo Stato a rendimento zero piuttosto che metterli sul conto corrente in banca.
E’ per il timore che le banche siano a rischio? I pericoli, tutti concordano su questo punto, sono stati superati. Ma il fatto che fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 il mondo bancario abbia scricchiolato pesantemente ha reso più guardinghi gli investitori, pur nella consapevolezza che gli istituti italiani sono riusciti a mantenersi fuori dall’occhio del ciclone anche nel momento peggiore della buriana.
A spingere alla cautela massima contribuiscono inoltre le inadempienze dell’Islanda, le accuse di avere taroccate i conti rivolte alla Grecia da Bruxelles e, in queste ultime ore, le apprensioni per la situazione economica del Portogallo.

Il terzo motivo è il più negativo di tutti. I soldi non riescono a trovare sbocchi nell’economia reale e per obbligo o convenienza continuano a prendere la strada della finanza. Ecco perché, nonostante la crescita o lo sviluppo facciano fatica a rialzarsi, i mercati, invece di scendere, continuano a salire o comunque a mantenersi a quote elevate. L’effetto di questa tendenza ancora una volta è che i miliardi che girano servono solo a proteggere i grandi capitali attraverso la finanza, ma non sono in grado di creare un posto di lavoro in più.

E’da questo panorama che deve scaturire una valutazione oggettiva su come i governi hanno finora affrontato la crisi. Al momento si può infatti affermare con certezza che il tempestivo intervento delle casse pubbliche ha impedito che si verificasse, come invece avvenne nel 1929, una tragedia planetaria. Al tempo stesso bisogna ammettere, però, che finora non si vede all’orizzonte traccia di un «new deal» capace, come negli anni trenta, di riportare fiducia e benessere diffusi.
In questa ottica, se si guarda al caso italiano, preoccupa che a fronte di un aumento pesante della spesa pubblica fatto registrare nel 2009, nel bilancio del governo manchi un corrispettivo di opere realizzate nell’ottica del rilancio dell’economia.
Va dato atto alla maggioranza di essersi dovuta svenare in una operazione di tamponamento che ha dato i suoi frutti soprattutto nel campo degli ammortizzatori sociali e quindi dell’occupazione.
Allo stesso tempo va detto chiaro che difficilmente ci sentiremo in grado di recuperare fiducia e ottimismo nei confronti del futuro fino a quando nel libro mastro dell’Italia non compariranno al primo posto voci come infrastrutture, banda larga, sviluppo delle reti, alta velocità, riqualificazione della formazione e dell’istruzione.
Cioè fino a quando gli investimenti pubblici e privati non abbandoneranno la strada della finanza per intraprendere quella della modernizzazione e dello sviluppo.