Monta protesta precari, a Benevento ancora sul tetto
Stavolta 7 docenti donne. Sciopero fame a Palermo per 2 tecnici
BENEVENTO - Per due volte in una settimana alcuni precari della scuola, il cui posto di lavoro è minacciato dai tagli agli organici decisi dal governo, sono saluti sul tetto dell'Ufficio scolastico provinciale di Benevento: dopo la prima contestazione svolta martedì scorso, oggi sette donne precarie storiche, in attesa del ruolo da oltre dieci anni ed iscritte al Comitato insegnanti precari, si sono recate sul punto più alto dell'ex provveditorato con l'intenzione di `resistere' fino a che il direttore dell'Usr non dia garanzie sul loro futuro e su quello dei 500 colleghi sanniti che dopo supplenze di lunga durata dal primo settembre rischiano di rimanere disoccupati.
Le sette insegnanti precarie sembrano molto determinate: con loro hanno scorte alimentari sufficienti per resistere per diverse settimane, per proteggersi dai raggi del sole hanno allestito un gazebo ed hanno il sostegno di decine di colleghi non di ruolo che all'entrata dell'Usr si sono riuniti in presidio permanente. Per rendere visibile a tutti i passanti la protesta hanno issato anche uno striscione: «Contro il più grande licenziamento di massa. 20000 in Italia, 500 a Benevento. Vogliamo un futuro».
A poco più di due settimane dall'inizio del nuovo anno le proteste dei precari, che si oppongono ai 42.000 tagli al personale docenti e 15.000 a quello amministrativo, tecnico ed ausiliario (che si ripeteranno anche per altri due anni), sembrano destinate ad allargarsi a macchia d'olio: martedì scorso ad Arezzo decine di insegnanti hanno lavato i vetri delle automobili ferme ai semafori con addosso dei vistosi mutandoni e t-shirts bianche con scritto «Precario scuola licenziato» .
«Per anni - hanno spiegato i precari su un volantino - siamo serviti a far funzionare la scuola per coprire i posti che non erano messi a ruolo. Ora lo Stato intende disfarsi di noi senza una parola di ringraziamento senza neppure tentare un timido `Scusa mi dispiace'. Adesso noi siamo senza lavoro e le scuole in grandi difficoltà anche per operazioni semplici come l'apertura e la chiusura degli edifici, per non parlare della didattica, e di tutte le attività di insegnamento. Dopo il lungo fidanzamento - hanno concluso i lavoratori aretini - lo Stato non solo non ci porta al matrimonio promesso, il tanto auspicato posto fisso, ma ci abbandona letteralmente in mutande».
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