28 marzo 2024
Aggiornato 23:30
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29001

Pensionamento illegittimo in materia di collocamento a riposo per raggiunti limiti di anzianità

Risarcimento solo a fronte della “messa in mora” del lavoratore

Con sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29001 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha deciso che il risarcimento dei danni spetta solo se il dipendente ha provveduto a «mettere in mora « il datore di lavoro.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione il dipendente dell'Ente Poste Italiane non doveva essere collocato a riposo per raggiunti limiti di anzianità perché per la pensione obbligatoria bisogna aver compiuto 65 anni e dato che il pensionamento del dipendente era risultato illegittimo, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dell’impossibilità della prestazione.
Ma non aveva fatto le cose bene.

Fatto e diritto
Un dipendente dell'Ente Poste Italiane era stato collocato a riposo in base ad una clausola dell'accordo integrativo del CCNL di categoria prevedente la risoluzione automatica del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva, senza obbligo di preavviso o della relativa indennità sostitutiva.
Lo stesso allora si era rivolto al Tribunale per far dichiarare la nullità di tale clausola e la conseguente nullità o inefficacia del licenziamento intimato, nonché la relativa reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna della parte datoriale al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione in servizio ed al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; in subordine chiese la condanna della parte datoriale al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso ed alla riliquidazione del trattamento di buonuscita.
Il Tribunale accolse la domanda del dipendente, accertata la illegittimità della norma contrattuale impugnata, dichiarò illegittima la risoluzione del rapporto, condannando l’Ente Poste a pagare una indennità commisurata a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, nonché, a titolo risarcitorio, una somma pari alle mensilità maturate dal ricorrente dal licenziamento al compimento del 65° anno di età, oltre interessi legali.
La Corte di Appello respinse l'appello proposto dalla Poste Italiane in quanto - ai fini risarcitori, non potendosi attribuire valore di atto di licenziamento alla comunicazione con cui il datore di lavoro aveva richiamato la presunta cessazione del rapporto per effetto della clausola contrattuale collettiva, doveva farsi applicazione delle comuni regole della responsabilità contrattuale.
Peraltro il datore di lavoro, avendo rifiutato la prestazione lavorativa collocando a riposo il dipendente contro la sua volontà, versava in mora accipiendi ed era quindi obbligato al risarcimento del danno causato dalla propria inadempienza contrattuale, da individuarsi nella mancata corresponsione delle retribuzioni;
Peraltro la Corte di Appello confermava la condanna al pagamento delle 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali, stante la mancata censura sul punto da parte della Società appellante.
Contro tale sentenza la Poste Italiane ha presentato ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione il risarcimento corrisponde, almeno in linea generale, alla misura delle retribuzioni perdute, ma è necessario che queste siano state chieste dal lavoratore e che il datore le abbia illegittimamente rifiutate.
Per la Cassazione il lavoratore avrebbe dovuto provvedere a offrire la prestazione al datore e quindi in capo a quest’ultimo non si può configurare la mora del creditore.
Per la Cassazione è stato escluso anche il diritto del lavoratore a un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo all’illegittimo collocamento a riposo e la domanda a cura del lavoratore realizza i suoi effetti solo quando è stata ricevuta dal datore prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età del lavoratore, cioè prima della data del suo legittimo pensionamento.
Secondo la Corte di Cassazione la Corte di Appello avrebbe sbagliato nel ritenere che alla comunicazione del datore di lavoro di richiamo della presunta cessazione del rapporto determinata dalla clausola contrattuale nulla, non potesse attribuirsi il valore di un atto di licenziamento, con conseguente inapplicabilità della disciplina dettata dall'art. 18 legge n. 300/70.

Per la Cassazione la Corte di Appello aveva omesso di pronunciarsi sul merito della condanna al pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione per avere reputato che la relativa statuizione della sentenza di primo grado non fosse stata censurata dalla parte appellante.
Dunque la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Ente Poste e la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra corte di Appello per un nuovo esame.

Allegato
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 10 dicembre 2008, n. 29001