4 maggio 2024
Aggiornato 17:30
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 28 ottobre 2008, n. 25883

Cambio di mansioni per sopravvenuta inidoneità fisica: non è un diritto

Il dipendente deve dimostrare semmai che l’attività svolta è stata specificamente pericolosa

Con la sentenza del 28 ottobre 2008, n. 25883 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha chiarito che il lavoratore non ha alcun diritto al cambiamento di mansioni nel caso non sia più fisicamente idoneo allo svolgimento di quelle per cui è stato assunto.
Ovviamente, resta ferma la possibilità del lavoratore di essere impiegato in compiti equivalenti, prima che l’azienda decida di recedere dal contratto di lavoro per la sopravvenuta infermità permanente del dipendente. In altre parole, non esiste un diritto del lavoratore che si sia venuto a trovare – per sopravvenuta invalidità – nell’impossibilità di svolgere le proprie precedenti mansioni, ad essere adibito a compiti differenti. Allo stesso tempo
Dunque dato che il datore di lavoro non è tenuto a cambiare a tal fine la propria organizzazione lavorativa, il cambiamento di mansioni è possibile solo a discrezione del datore di lavoro.

Fatto e diritto
Un dipendente di una azienda alimentare aveva convenuto in giudizio la società lamentando di avere lavorato con la qualifica e le mansioni di piazzista venditore e di essere stato, in questa qualità, vittima di numerose rapine, di cui una più grave.
Tali eventi, aggiungeva, gli avevano provocato gravi ripercussioni sulle sue condizioni fisiche e psichiche e per questo aveva chiesto che fosse dichiarata l'illegittimità del comportamento del datore di lavoro che non aveva accolto le sue richieste di essere assegnato ad altre mansioni, e non aveva rimosso le cause che avevano determinato l'insorgenza del suo stato di salute.
Alla luce di quanto esposto chiedeva anche che il datore di lavoro fosse condannato a risarcirgli il danno biologico e ad assegnarlo a mansioni compatibili con il suo stato fisico e psichico.

Le ragioni della società
La società si costituiva resistendo alla pretesa, e su sua istanza, veniva autorizzata la chiamata in causa della società assicuratrice che, a sua volta, si costituiva eccependo l'estraneità della polizza assicurativa rispetto all'evento oggetto di causa, e concludeva per il rigetto della domanda.

Le decisioni del giudice di primo grado e della Corte d’Appello
Il giudice di primo grado aveva dichiarato cessata la materia del contendere relativamente alla domanda di assegnazione a nuove mansioni e rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico, con conferma anche della corte di Appello.
Avverso la sentenza d'appello, il dipendente allora è ricorso in Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento in quanto le critiche svolte sono sostanzialmente inammissibili ed anche nel merito la motivazione espressa dalla Corte d'Appello appare completa, logica e coerente ed il ricorso risulta infondato in quanto l'attività cui era adibito il dipendente, quella di piazzista di prodotti alimentari, non può essere considerata specificamente pericolosa, ragion per cui effettivamente non sembrano sussistere i presupposti per l'applicazione dell'art. 2087 del codice civile.
Né il dipendente aveva dimostrato che in concreto la ditta avesse imposto che l'attività fosse svolta con modalità tali da comportare specifiche situazioni di pericolo.
Per la Corte di Cassazione il dipendente non aveva indicato molte cose nel ricorso: le modalità e le condizioni di esercizio delle proprie mansioni, le circostanze di fatto e le modalità delle rapine e se queste fossero dirette a denaro o beni personali del dipendente o alla merce che era nel furgone, o comunque a denaro o beni della ditta, in quali e quante occasioni aveva chiesto - ai superiori di essere trasferito ad altre mansioni, che gli sarebbero state sempre rifiutate, le modalità di insorgenza della malattia depressiva lamentata e la sua indipendenza da altri fattori, familiari o di altro genere, le modalità e le cause verosimili degli aggravamenti intervenuti, se anche dopo il trasferimento ad un altro deposito si era verificato un aggravamento della malattia e con quali modalità, se anche dopo il trasferimento avesse subito altre rapine e se queste abbiano, o meno, comportato degli aggravamenti della patologia.
Per la Corte di Cassazione quindi si trattava dei normali pericoli connessi, genericamente, in qualche misura a qualsiasi attività di lavoro, in sostanza al vivere e all'operare, non di un pericolo specifico connesso al lavoro e derivante dal lavoro, come presupposto dall'art. 2087.
Non può trovare accoglimento perciò, appunto per mancanza dei presupposti logico giuridici una richiesta di risarcimento del danno, sotto qualsiasi profilo prospettato, neppure come danno biologico, oppure alla personalità, ecc..
Per la Corte di Cassazione,i In ogni caso, non risulta dimostrato, in linea di fatto, che l'interessato fosse divenuto incapace di svolgere le proprie mansioni, e soprattutto, non sussiste un diritto del dipendente che si sia venuto a trovare, per sopravvenuta invalidità, nell'impossibilità di svolgere le proprie precedenti mansioni, ad essere adibito a mansioni differenti, né il datore di lavoro è tenuto a modificare a questo fine la propria organizzazione di lavoro.
Per questo la Corte di Cassazione ha giudicato il ricorso infondato, e lo ha quindi rigettato.

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 28 ottobre 2008, n. 25883