25 aprile 2024
Aggiornato 09:00
Contratti e salari

Megale (Cgil): «Numeri Confindustria virtuali non aumentano salari»

«Nella realtà diminuzione dello 0,8%»

«Le persone, i lavoratori e i pensionati, vivono tutti i giorni e hanno bisogno di soldi reali con i numeri virtuali non si aumentano i salari che, nella realtà, diminuirebbero dello 0,8%». Così il segretario confederale della Cgil, Agostino Megale, replica alle proiezioni fornite oggi dal Centro studi di Confindustria del modello contrattuale proposto dagli industriali.

«Pur non essendo interessati a una sterile guerra di numeri - aggiunge - c’è bisogno di fare chiarezza. Con le stime fornite oggi da Confindustria i salari aumenterebbero di circa 2.500euro: un’operazione virtuale che nasconde come le retribuzioni effettive, anche con la loro ipotesi di inflazione, dovrebbero crescere, invece, di circa 3.000euro».

«Al contrario - conclude Megale - crescono di meno di quanto siano cresciute nel periodo 93-07 in cui le retribuzioni contrattuali erano pari all’inflazione (tasso medio annuo per le retribuzioni 2,7%, per l’inflazione 2,7%). Oggi con il modello confindustriale perderebbero un secco meno 0,8% che nel triennio sarebbe pari a 350euro».

«Le retribuzioni da contratto nazionale, sulla base del modello proposto da Confindustria, perderebbero, nel periodo dal 2009 al 2011, mediamente uno 0,8% equivalente a circa 346 euro a regime, con un’inflazione media annua al 2%», aggiunge Megale.

Sempre sulle retribuzioni contrattuali, continua, «applicando l’indice di inflazione armonizzata europea depurata delle componente energia, nonché la riduzione del valore punto e il mancato recupero dello scostamento dall’inflazione effettiva - secondo quanto previsto nel modello Confindustria - con un’inflazione media annua effettiva al 2,8% (stima Ires-Cgil) la perdita cumulata sarebbe di –1.422 euro».

Sempre secondo le previsioni di Confindustria, Megale rileva che «dopo aver per mesi posto il problema della depurazione dall’inflazione della componente energia, non ci sarà uno scostamento tra l’indice generale e l’indice al netto dell’energia (se non nel 2009 di appena un decimale). Quindi non si capisce perché è stato avanzato un problema quando Confindustria stessa riconosce che l’impatto energetico nei prossimi anni non sarà rilevante».

Inoltre, precisa il dirigente sindacale della Cgil, «va sempre ricordato che, nel periodo dal ’93 ad oggi, le retribuzioni contrattuali sono cresciute mediamente ogni anno del 2,7% così come l’inflazione (Ipca) registrata nello stesso periodo risulta esattamente del 2,7%: dati praticamente allineati. Con l’ipotesi degli industriali per il futuro, riducendo le retribuzioni contrattuali di uno 0,8%, le condizioni dei lavoratori peggioreranno di sicuro».

«L’ipotesi di prevedere una crescita dei salari legata alla produttività di uno 0,9% ogni anno, - sostiene ancora il sindacalista - oltre ad apparire molto incerta, deve fare i conti con una indisponibilità, sin qui manifestata da Confindustria, ad allargare ed estendere il secondo livello di contrattazione e superare il riferimento alla ‘prassi in atto’ (come recita l’ipotesi di accordo stilata dall’associazione degli imprenditori) per coinvolgere le piccole imprese, i distretti, i territori e le filiere: un punto essenziale sul quale agire per aumentare la produttività e distribuirla al lavoro».

«La riduzione del valore punto calcolata dal Csc - osserva - è del 10% quando, invece, si attesterebbe tra il 12% e il 30% a seconda delle categorie: attualmente il valore punto, sulla base del quale si rinnovano i contratti, è pari in media a 18 euro. La proposta di Confindustria lo abbatterebbe mediamente a 15,74 euro. Un valore che se fosse stato applicato al passato quinquennio avrebbe comportato una perdita cumulata di 1.357 euro. Mentre, dai dati Istat, registriamo nel periodo 2004-2008 una crescita del potere di acquisto di +443euro».

«Infine - conclude Megale, «Confindustria parla di un vantaggio fiscale di circa 230 euro annui riferendosi alla detassazione del premio di produttività, tuttavia tale vantaggio riguarda solo il 10% dei lavoratori e non compensa certamente la perdita derivante dalla mancata restituzione del drenaggio fiscale, che grava su tutti i lavoratori, pari mediamente a 362 euro solo nel 2008».