2 agosto 2025
Aggiornato 00:30
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 17 settembre 2008, n. 23739

Avviso di garanzia al dipendente: Legittimità del licenziamento disciplinare anche dopo tre anni

Solo a fronte di ragioni oggettive che hanno complicato l’accertamento degli stessi

Con sentenza del 17 settembre 2008, n. 23739 la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento disciplinare può essere intimato anche dopo alcuni anni dopo i fatti «incriminati» solo a fronte di ragioni oggettive che hanno complicato l’accertamento degli stessi, come una indagine penale in corso a carico del dipendente.

Fatto e diritto
Un’azienda aveva licenziato un dipendente accusato di furto, truffa e falso materiale. Nel giro di pochi giorni il dipendente comunica di avere ricevuto un’informazione di garanzia e un invito a presentarsi in Procura. ¤così trascorrono oltre tre anni durante i quali il dipendente viene sottoposto a procedimento penale e ne informa il datore. Il licenziamento scatta solo qualche settimana dopo.
La Corte d'appello, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta dal dipendente contro la società onde ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli per motivi disciplinari e precisamente per i reati di furto, in concorso, di alcuni moduli di quietanze, di falso materiale e di truffe continuate ai danni di diverse persone fisiche.
La Corte d'appello, quanto al principio di immediata contestazione dell'illecito disciplinare, accertava questa serie di fatti: il 13 febbraio 2001 il dipendente aveva comunicato alla datrice di lavoro di aver ricevuto un'informazione di garanzia dalla Procura della Repubblica senz'altre precisazioni; il successivo 19 febbraio egli aveva scritto di aver ricevuto un invito a presentarsi in Procura per imputazioni di truffa in concorso; il 5 marzo 2004 aveva aggiunto di essere stato informato dal proprio legale di essere stato sottoposto a procedimento penale.
La Corte d'appello riteneva che la società non avesse violato il principio di immediatezza poiché legittimamente aveva atteso di acquisire sufficienti elementi di valutazione prima di irrogare la più grave delle sanzioni disciplinari.
La pendenza del procedimento penale non impediva l'autonoma valutazione dei fatti da parte della datrice di lavoro, a norma degli artt. 33 e 67 lett. c e d CCNL.
Contro la sentenza ricorre in Cassazione.

La decisione della Cassazione
Per la Cassazione L'invocato art. 7 l. n. 300 del 1970 detta alcune disposizioni procedimentali per l'irrogazione di sanzioni disciplinari al lavoratore subordinato, la quale non può avvenire senza previa contestazione dell'addebito ed audizione e difesa (secondo comma) con eventuale assistenza di un rappresentante sindacale (terzo comma). In ogni caso i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa (quinto comma).
Benché questo art. 7 non prescriva espressamente l'immediatezza della contestazione, ossia la sua formulazione subito dopo l'accertamento del fatto illecito, questa Corte ha da tempo ravvisato la corrispondente regola sulla base di interpretazione non letterale ma sistematica.
Nel caso in cui si tratti di licenziamento per giusta causa soggettiva, ossia senza necessità di preavviso, la necessità di una «causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria» del rapporto di lavoro, richiesta dall'art. 2119, primo comma, cod. civ., può fondatamente ed in concreto ritenersi insussistente qualora il datore di lavoro non abbia osservato la regola qui in questione.
Quanto al licenziamento per giustificato motivo (art. 3 l. 15 luglio 1966 n. 604), la regola dell'immediatezza della contestazione è fondata anzitutto sulle esigenze difensive del lavoratore, prima nel procedimento disciplinare di cui all'art. 7 cit. e poi nell'eventuale procedimento giudiziario, le quali vengono frustrate dall'ingiustificato indugio del datore di lavoro nella comunicazione dell'addebito.
Poiché l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto dell'incolpato a difendersi, si traduce nell'illegittimità del conseguente licenziamento, l'incolpazione tempestiva è elemento costitutivo del diritto di licenziare e ciò esclude che sul lavoratore gravi l'onere di provare lo specifico pregiudizio difensivo e comporta al contrario che questo ben possa essere ravvisato dal giudice attraverso l'officioso e prudente apprezzamento delle circostanze.
Infine la contestazione formulata a notevole distanza di tempo dal fatto addebitato può fondare la presunzione di mancanza di concreto interesse del datore di lavoro all'esercizio del potere di recesso o, e in altre parole, di pretestuosità del motivo addotto.
Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza della contestazione è pressoché coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare.
In ogni caso la regola in discorso dev'essere intesa in senso relativo ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati, soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione unitaria: in tal caso l'intimazione del licenziamento può seguire l'ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale dai fatti precedenti (
Da aggiungere che il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti può e deve precedere la contestazione anche nell'interesse del prestatore di lavoro, che sarebbe palesemente colpito da incolpazioni avventate o comunque non sorrette da una sufficiente certezza da parte del datore di lavoro.
Per la Cassazione l'irrogazione della sanzione disciplinare, anche espulsiva, richiede un accertamento dei fatti riservato alla discrezionalità del giudice di merito e, quando trattisi di fatti con rilevanza anche penale, la rilevanza disciplinare spetta alla valutazione del giudice civile.
Nel caso di specie la Corte d'appello ha accertato i fatti in modo esauriente, con riferimento a documenti e testimonianze acquisite nel processo penale e liberamente valutate, mentre il ricorrente tenta, anche riportando testualmente brani di interrogatorio, di ottenere da questa Corte di legittimità nuovi, impossibili apprezzamenti dei fatti di causa.
Così la Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente.

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