Alitalia, Colaninno: «Con scelte governo costi sociali altissimi»
«Critico fortemente il percorso che il governo Berlusconi ha deciso di seguire per il salvataggio di Alitalia»
«Nuove idee di impresa». Questo sarebbe dovuto essere il tema centrale del dibattito su «L’Italia dei cittadini» tenutosi alla Festa Democratica di Firenze e a cui hanno preso parte il ministro dello Sviluppo economico del governo ombra del PD Matteo Colaninno, il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei, il parlamentare dell’Udc Savino Pezzotta e l’assessore al Bilancio del Comune di Firenze Riccardo Nencini. Il tema sarebbe dovuto essere quello, ma avrebbe potuto essere più preciso: «Nuove idee di impresa per un’impresa vecchia e problematica». Come ampiamente prevedibile, infatti, quasi tutto il dibattito è stato incentrato sulla questione Alitalia. Lo stop dell'Unione europea alle soluzioni di Berlusconi e Tremonti fanno ancora discutere.
Naturalmente i conduttori del dibattito, Paolo Ermini e Niccolò Bellagamba non si sono lasciati sfuggire l’occasione di avere a disposizione il figlio di colui che diverrà il presidente di Alitalia (o meglio, della parte buona di Alitalia, dato che la ‘bad company’ verrà commissariata e affidata ai soldi dei contribuenti), ossia Roberto Colaninno. Il figlio Matteo, ministro ombra e deputato del PD, viene incomprensibilmente additato di una sorta di conflitto di interesse. Accusa che non ha alcun problema a scacciare.
«Critico fortemente il percorso che il governo Berlusconi ha deciso di seguire per il salvataggio di Alitalia, ma non posso biasimare una scelta imprenditoriale, né imprenditori che si comportano come tali. Detto questo con la scelta di mio padre io non c’entro nulla, e le interviste molto differenti tra loro che abbiamo rilasciato al Corriere della Sera stanno lì a dimostrarlo. Io ho lasciato le mie imprese e Confindustria per diventare deputato del Partito Democratico». Questione chiusa, dunque.
In effetti, come deputato e ministro ombra, Colaninno non fa sconti. «Dietro la vicenda Alitalia – dice – ci sono pesanti e svariate responsabilità politiche e amministrative». Il riferimento è generalizzato, come giusto che sia, anche se la critica maggiore va al governo Berlusconi e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti che nei giorni scorsi ha avuto il coraggio di dire che le responsabilità della crisi della compagnia di bandiera fossero da imputare al governo Prodi. Niente di più falso, secondo Colaninno: «Nel 2001 un’azione di Alitalia valeva 10 euro, alla fine del 2006 (quindi nell’arco in cui al governo Berlusconi c’erano Berlusconi e Tremonti) solo un euro. Chi ha lanciato Alitalia verso il disastro?».
Disastro che ora, come spesso accade, rischia di finire sulle spalle dei cittadini italiani contribuenti. A ben vedere, le occasioni per intraprendere soluzioni migliori ci sono state, e a non coglierle è stato proprio il governo Berlusconi, prima per una scelta sbagliata e poi per meri e cinici calcoli di tipo elettorale. «Tra il 2002 e il 2003 – ricorda Colaninno – Alitalia ebbe l’occasione di fondersi alla pari con Air France-Klm e Berlusconi disse di no. Così come disse di no al piano di Prodi e Padoa Schioppa, che prevedeva la vendita a Air France, con la sola contropartita – non prioritaria – di perdere la compagnia di bandiera».
E invece ci troviamo di fronte ad una società fallita, ad un commissariamento, ad una new company e una bad company. E soprattutto a costi sociali ben maggiori rispetto alle soluzioni prospettate in precedenza. In un momento in cui Iberia viene inglobata a British Airways, in cui la United Airlines è andata più volte vicina al fallimento, in cui Tva è fallita, in cui American Airlines cerca alleanze sul mercato, Alitalia guarda indietro e mette ancora una volta a rischio il destino di lavoratori e risparmiatori. «Il costo del petrolio – sottolinea Colaninno – è altissimo, tutte le compagnia puntano verso soluzioni di concentrazione, il rischio d’impresa è altissimo».
E mentre il vicepresidente di Confindustria Bombassei – suscitando qualche mormorio di protesta tra il pubblico del Padiglione Cavaniglia della Fortezza da Basso di Firenze – invita a dare credito all’operazione pianificata dal governo Berlusconi, Savino Pezzotta sottolinea i tanti punti di criticità e di ambiguità della soluzione. Secondo l’ex segretario della Cisl, «Alitalia è la cartina tornasole del Paese e la dimostrazione che in Italia si fa un’immensa fatica a cambiare. Gli esuberi ci saranno, sono maggiori delle altre soluzioni e saranno in larga parte a carico dello Stato. Non dobbiamo dimenticare inoltre che c’è già stato un prestito ponte che al contrario di quanto promesso, non verrà restituito. Ci saranno le rivalse dei creditori, dei piccoli azionisti». Da ex-sindacalista, ricorda come «nel 2003 sbagliammo a dire di no alla soluzione Mengozzi, anche se a mettersi di traverso furono anche uomini politici che stavano al governo allora». Ma se il passato è passato, e Pezzotta chiede al governo garanzie per il futuro: «Se lo Stato accolla le spese sulle spalle dei cittadini, abbiamo il diritto di sapere per quale motivo lo fa, in che termini lo fa e per quale piano industriale». Oggi non sappiamo ancora niente. Sappiamo solo che le «nuove idee di impresa», a volte, rischiano di essere peggiori delle vecchie.
Articolo di Stefano Cagelli
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