Cannes, Garrone delude con «Il racconto dei racconti». Ecco i suoi film migliori
Non sarà il suo capolavoro, ma Garrone ci regala anche qui emozioni forti, gli umani sentimenti portati al limite, tra deformazioni e crudeltà. Ma per sapere chi è davvero, andate a vedervi le sue pellicole migliori
CANNES - Timida accoglienza da parte della critica per «Il racconto dei racconti» di Matteo Garrone, che si presenta a Cannes con un fantasy dal sapore fiabesco che, forse, ha deluso un po' le attese. Vedremo come la prenderà il pubblico. Il film, una coproduzione Italia-Francia, prende spunto da tre racconti delle fiabe popolari de «Lo cunto de li cunti» o «Pentamerone» dell'autore napoletano Giambattista Basile, le più antiche d'Europa datate 1600. La prima parla di una regina infelice per via del figlio tanto desiderato che non arriva. Nella seconda due anziane sorelle fanno leva su un equivoco per attirare le attenzioni di un re erotomane. Nella terza un sovrano organizza un torneo per dare in sposa la figlia, certo che nessuno dei pretendenti supererà la prova, in modo che la giovane resterà sempre con lui. Nel cast, tra gli altri, Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini.
UN CALEIDOSCOPIO BAROCCO COME PIACE A LUI - Ognuna delle vicende narrate contiene qualcosa delle altre: un doppio, una citazione, uno scambio di sguardi. Garrone recupera alcuni dei temi a lui più cari, come la trasformazione del corpo, la solitudine, la farsa che lascia l'amaro in bocca, la passione incontrollabile, la crudeltà, la cupidigia, e ci regala come sempre immagini potenti, pittoresche, evocative, un carnevale di sentimenti, pulsioni e crudeltà tra l'orrido e il deforme e una riflessione profondissima sulla natura dell'amore. Un caleidoscopio barocco, rielaborato in chiave marcatamente pop, come il regista romano ama fare. I riferimenti spaziano da Fellini ai dipinti di Goya (Garrone ha fatto studi artistici e ama dipingere), passando per il «Pinocchio» di Comencini. Non sarà, forse, il suo nuovo capolavoro, ma Garrone è uno di quei registi che non si possono snobbare, mai.
«L'IMBALSAMATORE» E «PRIMO AMORE» - Il successo di critica per lui arriva nel 2002 con «L'imbalsamatore», una pellicola cupa, intensissima, struggente, dark, storia di un uomo che ricerca la bellezza inseguendo un amore impossibile per un ragazzo giovane e bello. Una storia vera, tratta dalla cronaca romana dei primi anni '90: quella del «Nano di Termini» Domenico Semeraro, tassista omosessuale ucciso dal suo pupillo Armando Lovaglio. Nel 2004 è la volta di «Primo amore», anche qui storia presa in prestito dalla cronaca che racconta di un uomo ossessionato dalla magrezza femminile e dal desiderio di controllo assoluto sull'essere amato. Un topos per il regista, riproposto anche ne «Il racconto dei racconti».
IL SUCCESSO DI «GOMORRA» E L'ITALIETTA DI «REALITY» - Nel 2008 Garrone si fa conoscere al grande pubblico grazie a «Gomorra» tratto dal best-seller di Roberto Saviano. Una consacrazione vera e propria: la pellicola vince il Grand Prix a Cannes, gli European Film Awards per miglior film, regia, sceneggiatura, fotografia e interpretazione maschile e si porta a casa anche una nomination ai Golden Globe. Nel 2012 a Cannes il regista si aggiudica il Grand Prix Speciale della Giuria per «Reality», tentativo «comico», dice, che in realtà si rivela per certi versi più tragico di «Gomorra»: storia di un pescivendolo e della sua ossessione per il «Grande Fratello», storpiatura di un'Italietta vuota e volgare dove l'audience comanda e apparire è tutto. Insomma, se non avete mai visto un film di Matteo Garrone, è arrivato decisamente il momento.