29 marzo 2024
Aggiornato 12:00
Festival del Cinema di Roma

I Coen e le loro radici ebraiche in «A Serious Man»

«Commedia della disperazione». I due registi: «Il film parla della nostra cultura ma non è autobiografico»

ROMA - Humour nero, pessimismo e risate intelligenti. «A Serious Man», il nuovo film dei fratelli Joel ed Ethan Coen, applaudito dalla stampa al Festival Internazionale del Film di Roma dove è stato presentato fuori concorso, è una «commedia della disperazione», un film molto personale, perché parla della comunità ebraica in cui sono nati i due registi e racconta la cultura a cui appartengono ma, ci tengono a precisare i Coen, non è assolutamente «autobiografico». Dopo il passaggio al Festival, uscirà nelle sale italiane il 4 dicembre come atipico titolo di Natale distribuito da Medusa.

Non è un'opera autobiografica - «E' un film americano che racconta la cultura a cui apparteniamo - hanno raccontato Joel ed Ethan Coen - volevamo fare un film sugli ebrei, negli anni '60, e parlare di una precisa comunità che è quella in cui siamo cresciuti. Già con il prologo (in Yiddish) volevamo annunciare al pubblico che sarebbe stato un film sugli ebrei, ma non si tratta di un opera autobiografica. L'ambientazione è stata il punto di partenza, poi il resto è tutta finzione. Anche i personaggi non rappresentano gente che abbiamo conosciuto, da alcuni però abbiamo preso ispirazione».

Il film, infatti, è ambientato proprio nella cittadina del Mid West in cui i due registi sono cresciuti e affonda nelle loro radici ebraiche. Il protagonista Larry (Michael Stuhlbarg) è un professore universitario con una vita tranquilla e scadenzata da appuntamenti quotidiani che tutto sommato lo rendono felice. Ma all'improvviso il meccanismo si rompe, tutto insieme: la moglie gli chiede il divorzio per un uomo a suo avviso più concreto, uno studente lo ricatta, un anonimo scrive lettere che mettono a rischio la sua carriera e, se questo non bastasse, il figlio pensa solo a farsi le canne e ascoltare musica dei Jefferson Airplane, la figlia a prepararsi per uscire la sera, il fratello è un parassita che vive sul divano di casa sua, il suo vicino è un tipo alquanto bizzarro e la vicina prende il sole completamente nuda. Che male avrò fatto, si chiede Larry? La risposta la cercherà nella fede e in tre rabbini le cui risposte, però, saranno ancora più «inquietanti» e prive di senso di tutto il resto.

«Temevamo reazioni» - «Con questo film avevamo paura della reazione della comunità ebraica - ha rivelato Ethan Coen - la comunità americana in particolare è molto sensibile a come viene descritta dai media e non volevamo ferire nessuno. Al momento la reazione negli Stati Uniti è stata buona: gli ebrei più ortodossi non vanno al cinema e non hanno visto il film, gli altri l'hanno preso meglio di come ci aspettavamo».

Fede, solitudine degli individui, paradossi e risate: un film lineare, ben scritto e diretto dai Coen che spazia su molti dei temi a loro cari e facendo ridere per le bizzarre situazioni e i personaggi presentati, lascia però alla fine un senso di pessimismo generale. «Siamo ebrei e questo fa parte della nostra identità - ha detto Ethan Coen - un certo pessimismo forse c'è ma è difficile da descrivere. La sensibilità del Mid West è sicuramente diversa e meno cosmopolita rispetto a quella degli altri americani. Prendiamo Woody Allen - ha aggiunto Joel Coen - ha la sensibilità ebraica newyorkese diversa da quella che vediamo nel film».

Commedia o tragedia? «Non pensiamo ai generi, a noi interessa solo cercare di raccontare una storia e di essere veritieri - concludono i due registi - non ci interessa come reagirà il pubblico e non ci siamo ispirati a nessuno in particolare, nemmeno per il pessimismo. Ma se Antonioni fosse cresciuto a Minneapolis chissà come sarebbero andate le cose».